Bosnia, l’allarme di Schmidt: «Sull’orlo di un altro conflitto»

L’Alto rappresentante della Comunità internazionale a Sarajevo punta il dito sulla condotta del leader nazionalista Dodik: «Sta disgregando il Paese»
Stefano Giantin

SARAJEVO Bosnia fu sinonimo di guerra fratricida, negli Anni Novanta. Quell’equivalenza sembrava fosse un triste retaggio del passato. Potrebbe invece diventare nuovamente attuale, a causa di un’escalation che dura da mesi. E che rischia di precipitare il Paese balcanico nel caos. È l’allarmante denuncia lanciata da fonte più che attendibile, l’Alto rappresentante della comunità internazionale a Sarajevo, il tedesco Christian Schmidt. Schmidt, da agosto sulla scomoda poltrona di “arbitro” e supervisore del rispetto degli accordi di Dayton, che ha apertamente suggerito l’eventualità di un nuovo conflitto armato in Bosnia in un rapporto, ancora non pubblico, preparato appunto dall’ex ministro tedesco per le Nazioni Unite, da presentare al Consiglio di sicurezza in una riunione che si sarebbe dovuta tenere ieri, ma che è stata messa misteriosamente in standby.

Il rapporto è però giunto per vie traverse ai media balcanici e al Guardian, che ne hanno svelato ampi passi, decisamente esplosivi. Secondo Schmidt, infatti, la Bosnia si troverebbe sull’orlo dell’abisso di quella che è «la minaccia esistenziale più grave» per il Paese «nell’intero dopoguerra». La causa, le mosse esecrabili del leader nazionalista serbo-bosniaco Milorad Dodik, oggi membro serbo della presidenza tripartita centrale, che per rappresaglia contro una legge che condanna il negazionismo dei crimini di guerra e del genocidio di Srebrenica sta da mesi lavorando allo smantellamento della Bosnia unita. Lo sta facendo evocando, ad esempio, la creazione di istituzioni serbo-bosniache autonome, in campo giuridico, fiscale e persino militare, con la creazione di forze armate controllate dai serbi di Bosnia, un passo che ha allarmato Sarajevo e non solo.

Più che allarmato si è detto anche lo stesso Schmidt, che ha scritto all’Onu che Dodik rappresenta ora una vera «minaccia alla pace e alla stabilità del Paese» e addirittura «dell’intera regione» balcanica. Se non ci saranno risposte immediate e forti «da parte della comunità internazionale», si legge nel rapporto Schmidt, allora gli stessi accordi di Dayton sono in pericolo. Dodik, ha stigmatizzato l’Alto rappresentante, mira a «reclamare» le competenze che la Republika Srpska, l’entità politica dei serbi di Bosnia, aveva in passato delegato alle autorità centrali, in particolare sul fronte della difesa. Se dagli annunci si passerà all’azione, ha avvisato, si rischia di vedere presto «personale» serbo-bosniaco «ritirarsi» dall’esercito nazionale bosniaco, una mossa che «riporta la Bosnia a 15 anni fa», prima che Sarajevo riuscisse a creare – una delle poche storie di successo del dopoguerra – un esercito comune e multietnico. Ritiro che potrebbe spianare la strada alla nascita di forze armate serbo-bosniache. Si tratterebbe, ha specificato Schmidt, di un atto di vera e propria «secessione», che per di più potrebbe causare scontri, anche violenti, tra esercito bosniaco e polizia e le forze di sicurezza di Banja Luka.

Cosa fare? La diplomazia, al momento, tace, Ue e Usa si limitano a vaghe reprimende. Potrebbe invece addirittura servire un «ricalcolo» quantitativo «della presenza militare internazionale» in Bosnia, leggi un aumento dei peace keeper stranieri, una mossa a cui sembra la Russia, vicina a Dodik, vuole opporsi. Senza una risposta, «la situazione attuale mette a rischio gli accordi di pace», ha avvisato però Schmidt. E il futuro riserva sorprese potenzialmente esplosive. Come quelle di «ulteriori spaccature» interetniche. E scenari di «conflitto» che sono al momento «molto reali». —

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