Bosnia, è battaglia di carte contro il carbone cinese
BELGRADO. Da una parte una disponibilità infinita di denaro da investire in giro per il mondo, affiancata spesso da scarsa sensibilità ambientale. Dall’altra un pugno di ecologisti, animati dalla volontà di dire basta ai fumi inquinanti e alla produzione di energia sporca.
È questa la silenziosa battaglia tra Davide e Golia che si sta combattendo in Bosnia. Golia è la Cina che, su sollecitazione delle autorità locali, sta concedendo prestiti e investendo nella costruzione di nuove centrali elettriche a carbone. La parte di Davide è invece interpretata da alcune Ong bosniache attive sia in Republika Srpska sia nella Federazione: il Centar za zivotnu sredinu (Centro per l’ambiente), Ekotim e il Centar za ekologiju i energiju. Piccole ma battagliere, queste Ong da mesi a colpi di carte bollate e denunce stanno cercando di arginare l’espansione delle centrali a carbone nel Paese. L’ultimo dei loro esposti è stato presentato il 14 ottobre alla Energy Community, organizzazione fondata nel 2006 per estendere il mercato Ue dell’energia ai Paesi balcanici.
Presentato da Ekotim, l’esposto riguarda la megacentrale a carbone Tuzla 7, che sostituirà quella obsoleta esistente grazie a un prestito di oltre 700 milioni di euro della cinese Exim Bank. Secondo Ekotim, «il ministero dell’Ambiente» bosniaco non avrebbe da parte sua stabilito adeguati «limiti alle emissioni» di polveri e anidride solforosa, nel rispetto delle attuali direttive Ue, ma usato parametri «meno stringenti» risalenti al passato, ha illustrato una nota dell’Ong Bankwatch. Così, se costruito, l’impianto nascerà già vecchio e troppo inquinante e avrà bisogno di altri investimenti per rispettare le regole europee.
Da qui la richiesta di un passo indietro. A un tiro di schioppo da Tuzla c’è Banovici, un’altra cittadina dove da decenni si produce energia “sporca”. Anche lì i cinesi della Dongfang Electric sono accreditati come i costruttori di un’altra centrale, stavolta da 350 MW. Pure sul caso di Banovici le Ong hanno contrattaccato, presentando alle autorità di Sarajevo una denuncia in cui si chiede «la cancellazione dei permessi ambientali». Ma Tuzla non è l’unico fronte. Secondo dati di BankWatch, altri esposti sono stati presentati per chiedere il ritiro dei permessi alla centrale di Stanari, edificata con i soldi della China Development Bank e inaugurata a settembre, e di quelli rilasciati per Ugljevik 3, sulla carta inefficiente e inquinante.
Ma anche senza quelle centrali l’inquinamento già oggi costituisce un problema drammatico in Bosnia. Con i nuovi impianti nell’area di Tuzla, ha stimato uno studio delle Ong, si può prevedere la perdita di «4.900 anni di vita» fra la popolazione e di «131mila ore di lavoro» per malattie polmonari. Cifre impressionanti, per un Paese che secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità è fra i primi al mondo per mortalità da inquinamento atmosferico. «Le centrali a carbone sono il killer ambientale numero uno», e quelle attive in Bosnia sono fra le più vecchie in Europa, e «fra le maggiori responsabili del cambiamento climatico, emettono anidride solforosa, ossidi d’azoto e particolato dannoso per l’uomo», conferma al Piccolo Igor Kalaba, del Centar za zivotnu sredinu, una delle menti dietro l’aspro confronto anti-centrali.
Un confronto che al momento non mira a stoppare del tutto i progetti - obiettivo oggi forse irraggiungibile - ma a far sì che «vengano rispettati gli standard ambientali e che le centrali siano costruite con la miglior tecnologia possibile», uniformandosi ai più alti standard europei, specifica da parte sua Rijad Tikvesa, presidente di Ekotim. Standard non proprio rispettati dalla Cina che, secondo uno studio del think tank Chinadialogue, sta infatti da un lato diminuendo l’uso del carbone in patria, ma «ne aumenta la diffusione all’estero».
La Cina negli anni fra il 2010 e il 2014 ha già investito 72 miliardi di dollari in centrali a carbone nei Paesi in via di sviluppo, ed è coinvolta nella pianificazione o costruzione di «79 impianti» di questo tipo in tutto il mondo, dalla potenza totale di 52 GW, inclusi quelli bosniaci, di Kostolac 3 in Serbia, di Rovinari in Romania, investimenti da 4,5 miliardi di euro. Finora le resistenze sono state poche. Ma anche i Davide, a volte, possono vincere.
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