Bosio: fatto fuori dopo il gran rifiuto

«Nel 2012 mi volevano presidente di garanzia, dissi no. Ora le Coop Nordest sono indispensabili»
Franco Bosio fotografato da Andrea Lasorte
Franco Bosio fotografato da Andrea Lasorte

«Trombato, io?». Franco Bosio ripensa a dicembre 2012 - quando mancò la conferma nel Cda Coop operaie di cui era stato presidente al taglio del nastro delle Torri e vicepresidente uscente - e gli scappa da ridere. È la risata di chi la sa lunga. Il numero uno regionale di Confcooperative, le coop bianche, rivela che, prima delle elezioni di fine 2012, «alla luce delle turbolenze per le assemblee di bilancio del 2011 animate dai contras», gli era stato chiesto, «trasversalmente», di diventare «presidente di garanzia delle Operaie». Di subentrare a Marchetti. Disse no: «Dovevo occuparmi di 700 imprese per Confcooperative». La non-rielezione fu una conseguenza. Il blocco dei soci votanti di Marchetti (e Seghene) lo scaricò. Ci vuol poco, però, che Bosio torni serio. E giuri: «Il presidente delle Coop Nordest Paolo Cattabiani è una delle poche persone in grado di risollevare le Operaie. Lo conosco. Non mi interessa che lui rappresenti le coop rosse e io le bianche, m’interessa che le Operaie si risollevino».

Ussai dell’M5s ha ripreso le carte del 2012, quando Alunni Barbarossa obiettò che lei sedeva nella Commissione per la cooperazione prevista dalla legge sulla vigilanza ed era nel contempo il vicepresidente delle Operaie...

Alunni Barbarossa disse allora un’inesattezza. E mi dispiace che Ussai l’abbia ripresa. Bastava verificare in Regione: Bosio non è mai stato in quella Commissione. In quanto organo tecnico, ho lasciato che vi sedessero delegati tecnici, non di rappresentanza.

Lo stato di salute delle Coop operaie era prevedibile già prima del dicembre 2012, o è precipitato ultimamente?

Il vero problema si è appalesato con la crisi del 2008. Peggio del ’29. Le Operaie avevano storicamente un limite che era poi anche il loro pregio: la dimensione e l’autonomia, il campanile. Quest’autonomia ci ha permesso di costruire le Torri in un momento in cui le grandi cooperative andavano sostenendo che solo loro potevano fare grandi centri.

Come hanno affrontato la crisi globale le Coop operaie?

Quando è arrivata si sarebbe dovuta seguire la necessità di entrare in un sistema di rete ma è prevalsa la logica di mantenere l’autonomia, con tutte le ricadute dell’indotto che ne conseguivano in termini di posti di lavoro. Si scelse, così, di cercare di rilanciare anche i punti vendita che stavano sotto la riga del pareggio di gestione. Le Operaie, a volte, si può dire che affiancassero i servizi sociali del Comune con i negozi di vicinato. Mettiamoci poi il costo del personale... Intendiamoci: il personale delle Operaie è eccezionale, dedito, mi viene in mente la cassiera che suggerisce alla vecchietta come usufruire delle promozioni. Però a un certo punto, e arriviamo più o meno al periodo in cui sono stato felicemente trombato, è sorto un indubbio problema di quantità del personale. Quando il presidente Marchetti affermava che in questi anni di crisi il personale era stato mantenuto sottintendeva che c’era del personale in esubero.

Voto bulgaro con sorpresa Bosio è fuori dal cda Coop

Torniamo al dicembre del 2012. Perché è stato trombato?

Ero stanco.

Qualcuno le ha remato contro?

Certo che qualcuno l’ha fatto.

Cos’è successo?

Io ho fatto votare per altri e altri non hanno fatto votare per me.

Si è rotto un patto?

No, il problema è più complesso. Coloro che avevano alzato l’attenzione nel 2012, e lei sa bene di chi parlo, a un certo punto hanno chiesto fortemente un presidente di garanzia, individuando in me una soluzione.

Parla dei contras?

Sì, ma ho ricevuto sollecitazioni da tutto l’arco costituzionale, diciamo così.

E lei come ha risposto?

Che non ritenevo di avere il tempo per dedicarmi alla cosa.

Ma allora perché s’è ricandidato lo stesso per il Cda?

Ho riflettuto a lungo. Mi sembrava non corretto non ripresentarmi in lista.

È stata una sorpresa, per lei?

No, assolutamente.

Che ruolo ha avuto Seghene in questa storia?

Conosco Augusto Seghene dal 1988, quando mi candidai e diventai assessore in Comune. Ne ereditai la delega al Personale...

Sì, ma nelle Coop operaie?

Io credo che Seghene avesse rapporti con alcuni consiglieri d’amministrazione delle Operaie come ne avevano altri.

I cento milioni del prestito sociale esistono davvero o solo sulla carta?

Fino alla fine del 2012 posso dire che c’è stata un’attenzione maniacale, con titoli puntualmente depositati a garanzia fideiussoria. Il fatto è che il prestito sociale, per sua natura, viene investito. La cooperativa, per legge, avendo un capitale sociale basso, utilizza il prestito dei soci proprio per il suo stesso sviluppo. Se noi oggi andiamo tutti insieme ad un qualsiasi sportello bancario pretendendo indietro il capitale versato quell’istituto non fallisce. Chiude.

Il matrimonio delle Operaie con le coop rosse è inevitabile? Come la vede da uomo delle coop bianche?

Quando nel ’96 diventai presidente delle Operaie l’allora presidente dell’Accda, il Distretto Adriatico di LegaCoop, Riccioni, disse ai suoi: “non mi interessa di che colore sia il presidente delle Operaie, mi interessa invece averlo nell’Accda”. E così io vi entrai in Giunta, e ricoprii poi, da bianco, altri incarichi nel sistema rosso. Oggi allora io dico che non mi interessa chi risolleva le Operaie: mi interessa che le Operaie si risollevino. Poi è chiaro che Confcooperative regionale farà la sua parte, come richiesto.

In che modo?

Farà la sua parte, ma per ora mi fermo qui.

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