Borovo, la nuova vita delle scarpe di Tito

Nella fabbrica di Vukovar, bombardata negli anni ’90, la storica marca jugoslava punta sui modelli “giovani” per il rilancio

VUKOVAR. Si può trasformare un cimelio della fu Jugoslavia in un prodotto alla moda su scala internazionale? Nella "città martire" di Vukovar, assediata per tre mesi nel 1991, teatro di una violentissima battaglia tra croati e reparti dell'allora esercito federale jugoslavo e da allora simbolo della guerra, c'è chi ci sta provando. I dipendenti della Borovo, la storica marca di scarpe dell'epoca titina, hanno appena presentato la loro ultima collezione. L’obiettivo? Sedurre i ventenni e fare di quest'impresa vecchia di quasi un secolo il nome più in voga del momento.

«In Croazia e nei Balcani le persone sono molto affezionate alla Borovo, ma al tempo stesso la considerano una firma démodé e poco al passo coi tempi», spiega la responsabile marketing Jasmina Matisa, arrivata a Vukovar meno di un anno fa. Ex dipendente di Unilever, Matisa coordina ora la rinascita commerciale del brand. «A metà aprile abbiamo lanciato la nuova collezione di ballerine e a breve presenteremo le nuove Startas, le nostre scarpe da tennis colorate», annuncia Matisa. Simili alle Converse americane, queste scarpe sportive sono disegnate per il pubblico più giovane, che di rado entra in un negozio Borovo. «Le vecchie collezioni di calzature in cuoio nero figurano ancora tra i nostri modelli più venduti - prosegue Matisa - ma la tendenza si sta invertendo: in due anni abbiamo triplicato la produzione di Startas».

A guardare gli stabilimenti in cui lavora, la missione di Matisa sembra impossibile. Oltre il cancello blu che delimita l'enorme proprietà sulla sponda ovest del Danubio, la maggior parte degli edifici sta in piedi per miracolo. Le bombe degli anni ’90 hanno sfondato le facciate, perforato i pavimenti; nel tempo rampicanti ed erba si sono infiltrati negli infissi. L'unica struttura abitabile è la sede centrale, rinnovata nel 2008, e in funzione. Ci lavorano 807 persone, tutte al salario minimo: negli anni Ottanta il colosso jugoslavo della calzatura impiegava oltre 23mila operai.

Quella della Borovo è una storia speciale. Negli anni Trenta del secolo scorso la fabbrica è di proprietà del gruppo ceco Bata, viene nazionalizzata nel 1945 dopo la vittoria dei partigiani di Tito. Con la fine della Jugoslavia la ditta diventa croata, ma con la guerra arriva anche la fine dell'età dell'oro. Oggi l'azienda cerca di volgere a proprio favore questo curriculum tormentato. «Adesso che il vintage va tanto di moda la nostra lunga storia è un vantaggio che dobbiamo saper sfruttare», sorride la responsabile marketing. E la sua strategia comincia già a dare i suoi frutti. In Francia le nuove Startas vengono commercializzate con il motto «le scarpe non allineate», scimmiottando chiaramente la politica internazionale "made in Jugo".

Ma il rilancio della Borovo non è solo questione d'immagine. Di proprietà dello Stato croato, il complesso di Vukovar è stato a lungo gestito senza una precisa visione aziendale. Con risultati disastrosi: dalla fine del conflitto la produzione è crollata drasticamente, a tal punto che negli ultimi anni ci si limitava a importare e commercializzare dei prodotti cinesi. «Prima della guerra questo era un conglomerato enorme che sfornava oltre 23 milioni di paia di scarpe l'anno. Oggi viaggiamo attorno alle 360mila», racconta Gordan Kolundzi„, dall'ottobre 2013 direttore di quest'impresa pubblica. Sotto la sua guida, tra il 2013 e il 2014, la produzione a Vukovar è aumentata del 50% e i conti sono stati rimessi in sesto. «Il mio obiettivo è far sì che quest'impresa stia in piedi da sola», spiega Kolundzi„, che si definisce il primo "tecnico" a sedere all'ultimo piano di quest'edificio ristrutturato, dopo una lunga serie di politici nominati dai diversi governi di Zagabria.

Dal punto di vista finanziario Borovo è ancora pesantemente indebitata, ma il deficit si è ridotto progressivamente: dai quasi 37 milioni di euro del 2012 si è passati ai 6 milioni nel 2013 e ai 3 nel 2014. «E quest'anno si chiuderà con il pareggio di bilancio», assicura Kolundzi„.

A Vukovar, in quest'azienda dove lavorano indistintamente serbi e croati, tutti gli operai guardano con speranza alle nuove collezioni per i giovani. Se il rilancio immaginato dalla dirigenza dovesse veramente funzionare, Borovo potrebbe ritrovare l'aspetto dei tempi andati. Facendo così uscire questa città di confine dai traumi della guerra di cui è ancora prigioniera.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo