Bono: "Basta sprechi e doppioni. Inutili Province, enti camerali e consorzi"
TRIESTE. Il mese scorso a Trieste, a margine dei colloqui tra i governi di Enrico Letta e Vladimir Putin, i reggitori delle sorti di Eni, Enel, Poste, Fincantieri, Finmeccanica hanno firmato con i loro omologhi russi 18 accordi commerciali. Con plastica evidenza la grande industria italiana coincide con l’ex industria di Stato. Giuseppe Bono dinanzi a questa immagine sorride sornione, perché lui tutta la vita professionale l’ha trascorsa “con orgoglio” dentro al mondo delle partecipazioni statali. E per paradosso ulteriore tocca a lui oggi interpretare “con autentico e radicale urgente spirito di rinnovamento” la presidenza di Confindustria Friuli Venezia Giulia.
Ma come mai ha accettato, dato che all’inizio del 2011 aveva addirittura portato Fincantieri fuori da Confindustria?
Eravamo usciti perché la ritenevo una organizzazione inutile, affetta dagli stessi virus della cattiva politica e incapace di dire che, oltre alle Province e tante sovrastrutture pubbliche, pure Camere di commercio o consorzi di zone industriali andrebbero chiusi. Confindustria Fvg ha dinanzi a sé una sfida vera, definendo la più stretta collaborazione possibile tra le varie associazioni territoriali, tenendo conto che siamo una regione piccola, che non ci possiamo permettere sprechi e duplicazioni, e che rinforzare il presidio regionale significa aver maggior peso politico. La fase successiva sarà da immaginare con fantasia applicando il nuovo statuto.
Si è risposto alla domanda se Confindustria rischia di essere inutile?
Dai confini dell'impero può partire una stagione di innovazione vera, sapendo che non è obbligatorio andare d'accordo su tutto con governo e sindacato. A me non interessa il prestigio senza progettualità. Stiamo vivendo una fase di gravissima crisi, in cui pure le associazioni degli industriali sono del tutto assenti in termini di proposta e si limitano a retoriche riunioni con i sindacati. Dobbiamo chiarire che le imprese possono stare in Italia solo a determinate condizioni, che ne favoriscono lo sviluppo e la realizzazione di giusti profitti. Se cambiamo tutti atteggiamento, l’Italia ce la può fare. L’abbiamo dimostrato pure in Fincantieri che è possibile farcela.
Due-tre anni fa Fincantieri pareva sul punto di fallire, adesso siete alla vigilia della privatizzazione.
A chi pensa che privatizzare voglia dire cedere il controllo e vendere a un socio industriale, rispondo che non siamo in una stagione di svendite. La quotazione in Borsa sarà un’occasione per rafforzare la società, con la vendita di una parte delle azioni dell’azionista e un aumento di capitale sottoscritto dal mercato. E finalizzato a avere le risorse necessarie per garantirci un futuro di crescita e sviluppo.
L'intervista integrale sul giornale in edicola lunedì 16 dicembre
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