Bonino: «No al niqāb in classe. La cultura è un alibi: non dobbiamo cedere sui diritti delle ragazze»
L’ex senatrice Bonino, storica femminista, si schiera «senza sotterfugi». «Se non teniamo fermo questo non so cos’altro sia l’integrazione»
![Emma Bonino](https://images.ilpiccolo.it/view/acePublic/alias/contentid/1h6j4o7x7kir32wvd8f/0/copia-di-copy-of-01apepp6x160021739215961.webp?f=16%3A9&w=840)
L’ha già detto Emma Bonino, senatrice fino al 2022 eletta con +Europa, ex ministra ed ex commissaria europea, e soprattutto politica radicale che si è spesa in moltissime battaglie per la libertà delle donne nel corso della sua lunga militanza: il niqāb a scuola non è accettabile.
Una reazione a quanto emerso a Monfalcone, dove al professionale Pertini quattro ragazze arrivano ogni mattina con il volto coperto dal velo integrale, vengono identificate privatamente in una stanza dedicata e poi si recano in aula. Del loro viso ai compagni e alle compagne di classe mostrano solo gli occhi. A inizio anno scolastico ce n’era una quinta, che nel frattempo si è ritirata.
Sulla necessità di una nuova norma per imporre il divieto Bonino sospende il giudizio ma fa capire che il fatto che sia stata scritta in tutt’altro contesto, quello delle violenze degli anni di piombo è un valore aggiunto, proprio perché non si può dire che abbia come obiettivo una parte della popolazione. Rimane convinta del fatto che «l’alibi della cultura non basti, ci sono anche culture nefaste contro le ragazze», afferma. Ma certo, «non si può far pesare tutto sulle ragazze, le istituzioni si devono muovere», specifica. Anche questo un concetto importante: ci deve essere una forma di dialogo. Ma dalla tutela di alcuni valori cardine non ci si deve muovere.
Senatrice, come sta?
«Insomma... Qui è uscito il sole, essendo io un po’ meteoropatica sono contenta».
Lei si è già espressa contro l’ammettere in classe il niqāb. La Lega è in pressing e chiede una nuova norma. È necessaria?
«Non conosco nei dettagli la legge del 1975, all’epoca non ero in Parlamento, ma conosco il contesto in cui è stata fatta. È stata varata soprattutto per questioni di sicurezza e so che prevedeva come penalità delle ammende. Altro non mi ricordo. Ma sono convinta che come sulle mutilazioni genitali femminili e i matrimoni forzati l’alibi della cultura non regge. Ci sono anche culture nefaste contro le ragazze, per le quali mi sono sempre battuta».
La soluzione qual è?
«Penso che le istituzioni locali e quelle scolastiche debbano – o dovrebbero – parlare con la comunità bangladeshi e le famiglie per spiegare che chi vuole vivere in Italia è benvenuto, però il minimo delle leggi italiane le deve rispettare, come gli italiani d’altronde. Questo è quello che penso, punto e basta. Senza sotterfugi. Non è che basta che le riconosca la preside o non so chi per lei. Non è questo. O meglio, non è solo questo. È una questione generale di integrazione».
Il rischio secondo la preside è che le ragazze smettano di frequentare la scuola...
«Sì, ho capito, ma proprio per questo non si può far pesare tutto sulle ragazze. Bisogna che anche le altre istituzioni facciano il loro lavoro e spieghino alla famiglia e a tutta la comunità che le leggi italiane vanno rispettate».
Guardare ad altri Paesi europei, ad esempio la Francia che ha sempre avuto una linea molto dura su questo punto, non fa pensare che c’è il rischio di innescare ghettizzazioni e chiusure di queste comunità?
«No, per favore. Deve passare il concetto che chi vuole vivere da noi deve rispettare le leggi italiane. Che peraltro non sono state fatte per escludere nessuno. Nessuno mette bocca sulla loro religione, spero bene. E neppure sulla mia. Sto dicendo un’altra cosa: non può bastare dichiarare che è la loro cultura per accettarla.
Ripeto: le mutilazioni genitali femminili sono “la loro cultura” in molti Paesi dell’Africa, eppure noi non l’abbiamo mai accettata. O almeno, io non l’ho mai accettata e mi sono battuta contro questa pratica per molto tempo. Stesso discorso per i matrimoni forzati delle bambine, che appunto sono bambine. Se non teniamo fermo questo punto, non vedo su che cos’altro dobbiamo basare l’integrazione».
Una domanda provocatoria: non è ipocrita in tutto questo tenere i crocifissi in classe?
«Anche, non sono mai stata favorevole, se è questo il problema. Ammesso che sia questo il problema io non sono mai stata favorevole».
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