Bocciata dalla regione la centrale biomasse Doveva sorgere a Opicina
Archiviata. Bocciata. Anzi no, tecnicamente non è proprio una bocciatura ma che sulla centrale a biomasse di Opicina si sia messa una bella pietra sopra sì, questo sì. E a farlo è stata la Regione (e a comunicarlo la Provincia). Dunque, ricapitoliamo: su richiesta della vicepresidente del consiglio di palazzo Galatti, Maria Monteleone, l’assessore alla Pianificazione territoriale e ambientale Vittorio Zollia ha comunicato che “la Regione ha archiviato il fascicolo relativo alla richiesta di costruzione di una centrale a biomassa nell’ex sito delle officine Laboranti ad Opicina presentata nel 2012”.
Archiviazione “dovuta” dopo che per ben due volte la Regione ha chiesto all’impresa (la Società investimenti industriali triestini, con sede a Roma) di presentare l’istanza di Via, acronimo che sta per Valutazione di impatto ambientale. Senza, addio progetto. E difatti l’assenza di questa documentazione (che sostanzialmente consente, come si può intuire, una valutazione più approfondita dei vari aspetti relativi alla tutela della salute e dell’ambiente) ha decretato la fine del procedimento e quindi la “naturale” archiviazione.
La storia è questa: la centrale elettrica avrebbe dovuto bruciare olio di palma proveniente dalla Costa d’Avorio “con discutibili vantaggi economici e con probabili ricadute negative sulla salute dei residenti”, fa notare la stessa Monteleone. Erano previsti ben 39 serbatoi di olio combustibile, olio lubrificante e biodiesel. Un investimento da 50 milioni di euro, 36 i megawatt di potenza per due camini da 35 metri. La centrale sarebbe stata a emissioni zero, grazie all’olio di palma africano. Peccato che per trasportarlo ci siano di mezzo qualcosa come seimila chilometri. Ecco il problema: il trasporto avrebbe annullato l’effetto ecologico, con la presenza di ben 270 tir con il motore acceso e accelerato al massimo 24 ore su 24 nel centro di Opicina.
Altra lacuna: nel progetto non si faceva menzione della necessità di bonifica del sito, che risulterebbe inquinato da idrocarburi, amianto e metalli pesanti. E, cosa mica da poco, l’area destinata alla centrale sarebbe confinata con una zona di protezione speciale e con un sito di importanza comunitaria. Flora e fauna pertanto ringraziano di cuore per lo scampato pericolo.
Ma ringrazia pure per l’addio a quello che veniva chiamato “ecomostro” la popolazione dell’Altipiano, che si era ribellata presentando ben due petizioni con circa tremila firme raccolte in pochissimo tempo. Due i “no” belli grossi: per le dimensioni della centrale e per il forte impatto in quanto di “bio” ci sarebbe stato ben poco. “Le 58mila mila tonnellate di olio bruciato - ricorda la Monteleone - avrebbero emesso una enorme quantità di CO2 valutabile intorno alle 150mila tonnellate annue”. Beh, adesso pare proprio che il problema sia risolto.
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