Blocco urbanistico sull’Isonzo «Tutelare ambiente e sviluppo»

GRADISCA
La quasi totalità del territorio di Villesse o Sagrado. E praticamente metà di quelli di una Gradisca o una Romans. Sono queste le dimensioni del “blocco urbanistico” che rischia di venire innescato dai nuovi parametri europei per l’aggiornamento del Pgra, il Piano di gestione del rischio alluvioni. Uno strumento che supera il Pai, (Piano di assetto idrogeologico) e restringe i paletti normativi in nome della sicurezza ambientale. E così nelle zone P2 – a pericolosità media – sarebbe impossibile per i sindaci autorizzare nuove costruzioni. Ma anche restauri e ampliamenti di volume dell’esistente. O, ancora, licenziare nuovi insediamenti produttivi o espansioni di attività.
Un vero e proprio “tappo” urbanistico su intere aree o addirittura interi paesi – Villesse, ad esempio – con conseguente depauperamento del territorio. E c’è già chi parla di rischio desertificazione. I 4 comuni sopra citati non sono gli unici a rischiare la paralisi urbanistica alla luce dei nuovi parametri. Ma sono i primi ad avere denunciato la propria preoccuazione con una lettera inviata all’Autorità di Bacino Distrettuale delle Alpi Orientali e alla Direzione centrale Ambiente Energia e Sviluppo Sostenibile della Regione.
«Alcune volte il meglio è nemico del bene» commenta, citando Voltaire, il segretario regionale dell’Anci – l’associazione dei comuni italiani – Alessandro Fabbro. L’ex sindaco di Farra ha le idee piuttosto chiare sui possibili scenari che verrebbero innescati dalle nuove normative. «L’argomento è di estrema attualità e lo dimostrano i recenti eventi calamitosi in Germania e nel Benelux – afferma –. E gli amministratori dovranno abituarsi a prendere decisioni e assumersi responsabilità sempre più drastiche. Ciò premesso, però, mi sembra che le normative europee che la Regione si accinge a recepire (da qui un appello all’assessore regionale Fabio Scoccimarro) siano troppo generalizzate e stringenti, rischiando di ignorare il buon lavoro già svolto dai sindaci in materia di sicurezza idrogeologica. Mi spiego meglio: nel caso dell’Isontino non mi sembra affatto che negli anni abbia imperversato un certo tipo di abusivismo incontrollato in aree potenzialmente a rischio. Singoli errori possono essere stati commessi nei decenni precedenti, ma non mi pare che il territorio viva una situazione di disordine urbanistico. E tantomeno di incoscienza in materia di tutela ambientale e della sicurezza. Per questo bisognerebbe guardare altrove. Comprendo dunque la preoccupazione dei comuni isontini, che non possono pagare un prezzo elevatissimo con il depauperamento dei propri territori – conclude Fabbro –: giusto chiedere chiarimenti, e se serve l’Anci è disposta a fare la propria parte».
Perplessità viene espressa anche da Elisa Ambrosi, dell’Area Ambiente di Confindustria: «Premesso che il principio della prevenzione in merito al rischio alluvionale non può e non deve essere messo in discussione – dice – abbiamo registrato la preoccupazione non solamente dei sindaci, ma anche dei nostri associati in merito ai nuovi scenari normativi. I tecnici ci segnalano come l’articolo 13 che ridefinisce le aree a media pericolosità sia estremamente stringente, facendovi ricadere da un giorno all’altro intere aree. Quello che chiediamo è una maggiore chiarezza e soprattutto un orizzonte temporale entro il quale enti pubblici e soggetti privati possano programmare. Si pensi alle richieste di insediamento in un territorio, o di ampliamento di un’attività: rischierebbero di essere bloccate o di risultare fuori parametro da un anno all’altro. Le conseguenze occupazionali ed economiche potrebbero essere estremamente preoccupante. Bisogna conciliare la progettualità con la mitigazione del rischio idraulico, ma serve un percorso pluriennale e condiviso».
Diverso l’approccio di Legambiente: «I gravi eventi alluvionali in Nord Europa dovrebbero averci insegnato che è il momento delle decisioni difficili, anche drastiche – dice Michele Tonzar, della segreteria regionale –. Comprendo il disagio dei comuni, ma le norme a volte tagliano con l’accetta. Indubbiamente ci saranno aspetti tecnici da conciliare, ma questa rimane una grande occasione per approcciarsi in modo diverso ai nostri territori, ponendo fine al consumo di suolo o a decisioni pericolose per l’incolumità dell’ambiente e delle persone». —
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