Blitz antidroga, caccia agli altri pusher
La maxioperazione antidroga non si chiude qua, tutt'altro. I carabinieri, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia, intendono risalire all'intera filiera dello spaccio scoperta con i dieci arrestati che rifornivano di cocaina, hashish e marijuana la piazza locale. Sette di questi dieci, trovati in possesso anche di armi e soldi falsi, sono triestini. Il comando provinciale ha diffuso i nomi di cinque: Fabrizio Sivelli, Andrea Biasizzo Alborghetti, Franco Altin, Pierpaolo Lenaz e Giovanni Vascotto. Hanno tra i 38 e i 55 anni. Ma mercoledì mattina, dopo il blitz all'alba che ha coinvolto ben cinquanta militari dell'Arma tra Prosecco, Opicina e il centro, le porte del Coroneo si sono spalancate anche per due ulteriori personaggi, sempre triestini, la cui identità potrebbe essere resa nota dopo l'udienza di convalida dell'ordinanza di custodia cautelare.
Pizzicati in flagrante: uno beccato la sera prima della maxioperazione mentre acquistava 3 kg di marijuana da uno dei dieci criminali poi ammanettati; l'altro invece il mattino successivo quando, durante la perquisizione, i militari hanno rinvenuto in casa ben 20 kg di marijuana e mezzo di hashish. Inevitabile, pure per lui, il carcere. In prima battuta sembravano soggetti secondari rispetto ai capoccia, ma la quantità di droga che possedevano era rilevante. Difficile che fossero semplici spacciatori che si appostano all'angolo della strada a vendere qualche grammo ai ragazzini, quanto piuttosto veri e propri intermediari che trattavano chili di sostanze. E in stretto contatto con i vertici, a cominciare da Sivelli, milanese di origine, e i due compari più vicini, vale a dire Biasizzo Alborghetti e Altin. Elementi quindi di spicco dell'intero gruppo criminale, anche quei due.
I carabinieri. E che a loro volta controllavano altre teste. «Per noi erano pesci piccoli ma evidentemente avevano fatto un salto di qualità e si stavano accingendo a gestire importanti quantitativi al pari dei capi», spiega il comandante provinciale Daniel Melis. D'altronde l'organizzazione triestina, come hanno più volte sottolineato i militari dell'Arma in conferenza stampa, era gerarchica. Ognuno con compiti ben precisi. Pare sia stato proprio il milanese Sivelli a trapiantare qui, a Trieste, il modus operandi che avrebbe appreso in certi ambienti del Nord Italia. Quelli in cui si traffica la coca che arriva dalla Colombia e dall'Afghanistan. Ma siamo soltanto a uno dei potenziali spunti investigativi possibili. Perché durante gli arresti e le perquisizioni sono spuntati cellulari, agende, bigliettini. Facile che compaiano, qua e là, altri nomi e informazioni preziose utili a ricomporre l'organigramma dello smercio.
Ventun indagati. Sul piano squisitamente investigativo stavolta il percorso è dunque all'inverso: dalle figure di vertice si approda passo dopo passo ai "piccoli pesci". Cioè chi vende roba in strada o fuori dalle scuole. Se non addirittura dentro le scuole, tra i banchi, come si sospetta. Non a caso tra i 21 indagati dell'inchiesta, insieme agli arrestati, compaiono molti giovani di vent'anni. L'indagine della Procura distrettuale, diretta dal pm Massimo De Bortoli (le ordinanze di custodia cautelare sono firmate dal gip Guido Patriarchi), alza insomma il coperchio su un vero e proprio sistema che la città non pensava di avere in casa. Grossisti, intermediari e collaboratori. La lunga catena su cui gli investigatori stanno andando a caccia. Fino ai minimi livelli. Gente che nella maggior parte dei casi conduce una vita apparentemente normale, magari con un lavoro e una famiglia. Ma che poi trascorre intere nottate a contrattare la merce, pianificare l'arrivo dei diversi quantitativi e a preparare le dosi. Professionisti, alla fine, che usano messaggi criptati e sistemi di videosorveglianza nei posti in cui nascondono la roba.
L'organizzazione. «Agiscono con un'organizzazione modulare - precisa ancora il comandante Melis - quando esce un personaggio ne entra un altro, a seconda della convenienza e del tipo di droga da approvvigionare, mentre la parte verticistica tende a rimanere la stessa. Più in giù si va nel grado gerarchico, più si abbassa l'età delle persone coinvolte che gestiscono l'attività. E purtroppo il problema sono proprio le scuole: sempre più spesso chi vende non è il losco figuro nascosto tra i motorini, ma il vicino di banco. Siamo di fronte a una vasta infiltrazione, anche tra gli studenti. La canna tra l'altro diventa poi facilmente cocaina». Proprio di recente è stato arrestato un giovane che spacciava tra i compagni di classe.
Riproduzione riservata © Il Piccolo