Bivacchi, sporcizia e spaccio tornano in via Sant'Anastasio a Trieste

TRIESTE È un degrado senza fine quello di via Sant’Anastasio. Dopo le segnalazioni dei residenti e gli interventi di pulizia dei mesi scorsi, le indagini della Squadra mobile sullo spaccio di droga e i sopralluoghi dell’ex questore Isabella Fusiello, quel tratto parallelo a via Udine, stretto tra un gruppo di case, è tornato a piombare nella sporcizia e nel totale abbandono. Ricettacolo, come si può immaginare, di pusher. Ma anche di prostituzione a cielo aperto.
Bottiglie e lattine dappertutto, insieme a rifiuti di ogni genere. E poi, ancora, resti di bivacchi notturni, vestiti e coperte; segno che questa zona ospita senza tetto e ritrovi di balordi.
Il biglietto da visita è immediato. Fin dall’imbocco di via Sant’Anastasio di fronte all’edificio dell’Inps, è possibile rendersi conto dell’incuria in cui appare irrimediabilmente scivolata la zona. Scritte e graffiti su tutti i muri. Il pavimento è cosparso di vetri, come se qualcuno si divertisse a frantumare bottiglie e quant’altro.
Ecco poi un vecchio zaino, cartacce, coperte e avanzi di cibo. Il puzzo di escrementi, negli anfratti che conducono alle scalinate verso i palazzi sovrastanti, prende il naso. Qualcuno, evidentemente, utilizza il posto come toilette. Lo scenario non è migliore sopra i gradini, in prossimità degli edifici, alcuni in disuso e altri no. Ancora spazzatura, mista a lattine e cartoni di vino, accanto a borse, altri vestiti lasciati a terra come stracci.
Ed è sempre negli anfratti che costeggiano le scalinate che si rintracciano i segni di ciò che da queste parti avviene quando scende il buio: siringhe. Eccone una, per terra, vicino a una bottiglia di vetro.
In mezzo ai cespugli che punteggiano i terrazzamenti, dove nei mesi scorsi la Squadra mobile aveva rivenuto dosi di droga nascoste e pronte alla vendita, si scorgono altri rifiuti.
«Non ne possiamo più», protesta una residente che abita nelle vicinanze. «Questo posto, così abbandonato, attira la criminalità, i profughi che vengono a dormire con le loro coperte e i barboni che abitualmente si vedono nella vicina Stazione ferroviaria. Non è possibile vivere in questa sporcizia e degrado. Perché questo posto non viene controllato e pulito?».
La zona appare come una terra di tutti o di nessuno. Ieri pomeriggio, verso le quattro, una delle scalinate faceva da ritrovo a un gruppetto di ragazzi, alcuni minorenni e altri adulti. Trascorrevano il tempo a bere e a fumare, lontani da occhi indiscreti. Uno del gruppetto, che deve aver avuto non più di dodici o tredici anni, faceva da “vedetta” per informare gli amici di eventuali visite indesiderate.
Le inferriate dei cancelli, installate di recente per proteggere la proprietà privata, vengono abitualmente scavalcate.
Ed è evidente che l’area è utilizzata per i bivacchi notturni. Più avanti, lungo il versante che dà su via Pauliana, l’ingresso di un garage è occupato da alcuni giacigli di fortuna. Coperte e lenzuola putride, in mezzo a una quantità di sporcizia che non ha eguali da altre parti a Trieste. E, ancora, avanzi di cibo e bottiglie di plastica.
Così più oltre, dove qualcuno deve essersi ricavato un altro giaciglio con cartoni, paglia e fogliame. Veri e propri accampamenti dove, evidentemente, vengono pure accesi fuochi. Così sembra, almeno, osservando i pezzi di legno e di carta bruciacchiati in cui ci si imbatte qua e là.
«Questo posto è completamente dimenticato dalla città», soggiunge un altro residente. «Io abito in via Udine, una zona che ospita strutture di accoglienza per migranti e clochard. Ma via Sant’Anastasio è completamente fuori controllo. Basta, qui siamo tutti stufi».
Già, via Udine. Ieri pomeriggio non è passata inosservata la presenza di un ragazzino, certamente minorenne, che si aggirava lungo la strada rovistando nei cassonetti delle immondizie.
Bivacchi notturni, tonnellate di sporcizia, spaccio di droga e prostituzione. Un inventario tristemente noto, da tempo. Che ritorna. Anche sotto le finestre di una casa di riposo, una delle poche strutture che sopravvive all’abbandono. Ma non al degrado. —
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