Bimbo conteso dai genitori: «Deve rimanere a Trieste»

Sentenza del Tribunale dei minori: «Considera la casa attuale sua unica dimora» Resterà così assieme al padre. L’avvocato Crivellari: «Tutelato il bene del piccolo»
Tommasini-Trieste-Tribunale
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TRIESTE Resterà in Italia il bambino di sette anni conteso dal padre italiano e dalla madre sudamericana. L’ha stabilito ieri con una sentenza il Tribunale dei minori di Trieste. Nell’elaborazione del dispositivo, la Corte ha tenuto conto della perizia redatta da una psicologa, a cui era stato chiesto se il bambino avesse capacità di discernimento rispetto a quanto stava accadendo.

 

Il bimbo conteso dai genitori resta in Italia
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Pur non essendo mai stato chiamato ad esprimere una preferenza tra i due genitori, il piccolo ha sempre indicato Trieste come suo luogo d’elezione. Commenta l’avvocato William Crivellari, che assieme al collega Paolo Gippone ha preso le parti del padre: «L’aspetto sinceramente positivo sta nel fatto che, in questo caso specifico, il Tribunale è andato al di là dei formalismi, volendo accertare nel concreto quale fosse il bene del bambino».

La sentenza Tra i motivi della decisione, i giudici indicano il fatto che «esiste un rischio di grave pregiudizio per il bambino nel caso in cui venisse rimandato oltreoceano, in quanto non c’è la certezza della garanzia per il minore di poter beneficiare della fondamentale bigenitorialità». Dalla perizia sarebbe emerso che il piccolo considera come sua «unica dimora» l’attuale abitazione, e nei suoi attuali amici e compagni di classe gli affetti più cari. Senza mai citare alcuna affinità con il Sudamerica, elemento che è parso assente dalla sua visione attuale. La decisione è appellabile in Cassazione.

 

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Il commento dei legali L’avvocato Crivellari dichiara: «Io e il collega Gippone siamo molto soddisfatti, perché l’interesse del bambino è stato messo al primo posto». Si tratta di un modus operandi ormai consolidato nella giurisprudenza, aggiunge: «Nel 2017 le sentenze di Cassazione hanno previsto che in simili casi sia sentito il minore. I tribunali si sono adeguati, anche perché la convenzione dell’Aja, applicata anche in questo caso, prevede una clausola di salvaguardia costituita dall’interesse e dalla volontà del minore».

La vicenda Il procedimento si trascina da diversi anni e riguarda un padre triestino e la madre sudamericana, forte della sentenza di un tribunale del suo Paese secondo il quale il bambino dovrebbe restare oltreoceano.

 

 

La vicenda è cominciata sei anni fa quando Andrea - che è un nome di fantasia - aveva pochi mesi di vita. La mamma lo aveva portato nel suo Paese per quella che, a detta della donna, avrebbe dovuto essere solo una vacanza. Alla scadenza del termine, però, la madre non era rientrata in Italia: per questo motivo è stata anche condannata per sottrazione internazionale di minore. In quei mesi è iniziato il calvario del padre che, recatosi in Sudamerica, aveva attivato la convenzione Aja per i minori, chiedendo il rientro del bambino in Italia, Paese in cui era nato, in cui aveva vissuto i primi mesi di vita e di cui ha la cittadinanza. In primo grado, l’autorità straniera aveva accolto la sua richiesta disponendo il rientro del bambino in Italia.

 

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Ritorno in Italia Il padre aveva anche ottenuto dal Tribunale per i minorenni l’affidamento esclusivo del figlio con l’ordine che Andrea fosse immediatamente ricondotto nel nostro Paese. Risultato raggiunto solo dopo due sentenze nel 2013. Poco dopo è rientrata anche la madre che si è attivata innanzi alle autorità italiane chiedendo a propria volta l’applicazione della convenzione al Tribunale per i minorenni di Trieste. Tribunale che, a giugno 2014, ha rigettato la domanda ritenendo che il bambino sarebbe stato esposto a pregiudizio psicofisico se fosse stato rimandato in Sudamerica.

La perizia Nell’aprile del 2015 la Cassazione ha annullato il provvedimento e si è tornati di fronte al Tribunale giuliano per i minorenni che, a gennaio, ha deciso di chiedere al bambino quale sia il luogo in cui si sente più a casa. Si è saputo, in quel caso, che è stato acquisito agli atti il parere del bambino, sentito al termine di un lungo percorso svoltosi in forma protetta e nel suo ambiente domestico in cui è stato assistito da una psicologa.

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