Bimbo conteso dai genitori a Trieste: 6 anni di battaglie legali

Oggi la decisione del Tribunale per i minorenni. La madre vuole portarlo all’estero mentre il padre si oppone e chiede che il giovane continui a vivere con lui a Trieste
Lasorte Trieste 20/07/10 - Foro Ulpiano, Tribunale
Lasorte Trieste 20/07/10 - Foro Ulpiano, Tribunale

TRIESTE Si deciderà oggi il destino del piccolo Andrea (il nome è di fantasia per non rendere identificabile il bambino), che rischia di essere di fatto “espulso” dall’Italia, mandato via da Trieste, dove il padre lo ha in affidamento, perché un tribunale di un Paese sudamericano ha dato ragione alla madre. Potrebbe dover lasciare la scuola dove è perfettamente integrato e anche abbandonare la sua squadra di basket.

All’udienza - davanti al collegio del Tribunale per i minorenni presieduto da Silvia Balbi (a latere Elisabetta Moreschini) - saranno probabilmente presenti i genitori, col padre rappresentato dagli avvocati William Crivellari e Paolo Gippone, e la madre con gli avvocati Michele Della Bella e Licia Amato.

Il braccio di ferro

La vicenda è cominciata sei anni fa. Quando Andrea aveva pochi mesi di vita. La mamma, di origini sudamericane, lo aveva portato nel suo Paese per quella che, a detta della donna, avrebbe dovuto essere solo una vacanza. Alla scadenza del termine, però, la donna non era rientrata in Italia. E ovviamente neppure il bambino, rimasto dunque in quel lontano Paese. Così è iniziato il calvario del padre che, recatosi in Sudamerica, aveva attivato la convenzione Aja per i minori, chiedendo il rientro del bambino in Italia, Paese in cui era nato, in cui aveva vissuto i primi mesi di vita e di cui ha la cittadinanza.

La battaglia legale

In primo grado, l’autorità straniera aveva accolto la sua richiesta disponendo il rientro del bambino in Italia. Il padre aveva anche ottenuto dal Tribunale per i minorenni l’affidamento esclusivo del figlio, tanto che aveva ordinato che Andrea fosse immediatamente ricondotto nel nostro Paese. Tuttavia in Sudamerica la decisione di primo grado non è esecutiva, contrariamente a quanto avviene in Italia. Il bambino è quindi rimasto all’estero finchè un giudice di secondo grado ha riformato la prima sentenza rigettando la richiesta del padre.

L’uomo, che in più occasioni si era recato oltreoceano per vedere suo figlio, è riuscito, alla fine del 2013, a ricondurlo finalmente nel nostro Paese. Dove è stato raggiunto anche dalla madre, che si è attivata innanzi alle autorità italiane chiedendo a propria volta l’applicazione della convenzione al Tribunale per i minorenni di Trieste. Tribunale che, a giugno 2014, ha rigettato la domanda ritenendo che il bambino sarebbe stato esposto a pregiudizio psicofisico se fosse stato rimandato in Sudamerica.

La Cassazione

Poi il colpo di scena. È successo nell’aprile del 2015 quando la Cassazione ha annullato il provvedimento. Così oggi se fosse accolta la domanda di restituzione formulata dal Paese sudamericano e dalla madre del bambino, ci si troverebbe di fronte ad un paradosso non da poco.

La condanna a otto mesi

Per capirlo bisogna fare un passo indietro: la donna, quando il bimbo aveva pochi mesi, era riuscita a portarlo nel Paese d’origine per quella che avrebbe dovuto essere una vacanza ma che, nelle intenzioni della madre, avrebbe dovuto trasformarsi in una sistemazione definitiva. Tanto che il padre del bimbo aveva denunciato la compagna e, costituitosi parte civile innanzi al Tribunale di Gorizia col patrocinio dell’avvocato Crivellari, ne aveva ottenuto la condanna - a seguito di un dibattimento con numerosi testimoni e centinaia di documenti prodotti da entrambe le parti - per sottrazione internazionale di minore alla pena di 8 mesi di reclusione, con la sospensione dall’esercizio della potestà di genitore. Questa sentenza, seppure a pena sospesa ed appellata dalla donna, ne afferma la responsabilità penale per aver trattenuto all’estero il proprio figlio minore contro la volontà del padre.

Così adesso, se fosse accolta la richiesta del Paese sudamericano, l’Italia restituirebbe il bambino alla stessa persona già condannata penalmente, seppure con sentenza non definitiva, per avere pregiudicato i diritti dell’altro genitore e dello stesso bambino.

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