Biliardo, robot e ora birre La saga dei Campagnolo

Quarta generazione di artigiani. Il capostipite era il falegname Angelo, poi il figlio Silvano, i nipoti Michele e Angelo II, infine il pronipote Diego.
Esordio con le stecche da biliardo in una bottega in salita di Contovello a Barcola, mentre l’attuale punto di arrivo è all’insegna dell’automazione industriale. Innaffiata però da birra artigianale. Robot con boccale. «Dal gabinetto al missile», celiano. Quella della famiglia Campagnolo, antiche ascendenze vicentine, è una bella storia italica: nell’incubatoio Confartigianato a Valle Noghere, dove si sono insediati nel 2003, gestiscono due capannoni affiancati. Uno, con il vecchio marchio Zenit, dagli anni Ottanta si occupa di grandi impianti, da progettare o da ringiovanire, in precedenza i Campagnolo si erano dedicati all’impiantistica idro-termo-elettrica.
Nell’altra struttura, dal 2007 i Campagnolo spillano otto tipi di birra. Una vocazione nata e rapidamente maturata l’anno prima, quando, in occasione di un viaggio in Danimarca, Michele & Angelo visitano lo stabilimento Carlsberg a Valby, quartiere di Copenaghen. Restano affascinati dal processo di produzione, che decidono di riproporre, in chiave artigianale, una volta rientrati a Trieste. Detto e fatto: commissionano i macchinari alla Velo di Altivole e frequentano un corso di mastro birraio a Feltre. Nei primi mesi del 2007 sgorga la prima proposta, non filtrata e non pastorizzata. Nessuna stramberia - attestano - tra i birrai artigianali la doppia attività non è infrequente.
Il trio Campagnolo fa tra le 10 e le 15 mila bottiglie da 0,75 all’anno. Vende al dettaglio, nei locali, nelle salumerie. Poca la spina, perchè il confronto con le multinazionali è commercialmente rischioso. Etichette ispirate all’autoctonia: Borin, Borin Ciaro, Borin Scuro, Neverin, Refolo, Striga, Capriccio di Bacco (con l’uva), Millefiori (con il tiglio). Ispirazioni invece europee per il contenuto, dalle tedesche (Pils, Weizen, Dark Lager) alle inglesi (Ale) fino alle ceche. Con un tocco di dichiarata italianità in Capriccio di Bacco, fabbricato prima con la Glera poi con la Vitoska. Pesce, carne, meditazione: i Campagnolo hanno cercato di coprire le varie esigenze del palato. La fascia di mercato più reattiva al messaggio è quella dell’età media di gusto evoluto.
Poi, mostrando le stanze della produzione e della conservazione, ne spiegano il complesso itinerario. Si comincia con la “cotta” del malto, acquistato in giro per l’Europa, a particolare temperatura. E’così ottenuto il mosto, che viene bollito con il luppolo e messo a fermentare a temperatura controllata. La procedura completa dura un buon semestre: un giorno per la “cotta”, uno-due settimane per la fermentazione, maturazione nei tini dai tre ai sei mesi a zero gradi, in giornata avviene la rifermentazione in altri tini. Segue l’imbottigliamento e la conservazione a 7° per stabilizzare il prodotto. Le fasi salienti - precisano i Campagnolo - riguardano la “cotta” e la rifermentazione: il prodotto va costantemente seguito e verificato, a garanzia della sua artigianalità. —
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