Biasutti: "Senza una leggeanche l'Abruzzo ricomincia da zero»

«Il modello Friuli? Non esiste. Non è mai stato istituzionalizzato. Se fosse diventato una legge quadro ora avremmo uno strumento in grado di dare prospettive alle popolazioni colpite dell’Abruzzo". Per Adriano Biasutti, commissario alla ricostruzione fino al 1983, Roma ha ignorato la positiva esperienza friulana perdendo tempo prezioso
TRIESTE
«Il modello Friuli? Non esiste. Non è mai stato istituzionalizzato. Se fosse diventato una legge quadro ora avremmo uno strumento in grado di dare prospettive alle popolazioni colpite dell’Abruzzo. E, invece, siamo costretti tutti a ripartire ogni volta da zero». Adriano Biasutti, assessore alla Ricostruzione dal 1978 al 1983 e poi successore di Antonio Comelli alla presidenza della Regione dal 1984 al 1991, non nasconde l’amarezza di una politica incapace di far tesoro di un’esperienza positiva. Quella della Ricostruzione friulana, portata a termine in tempi record e costata 10 miliardi di euro, è un’occasione persa. Trent’anni non sono bastati per mettere su carta un’esperienza che tutti prendono a modello. E il rammarico è ancora più grande in tempi in cui, partiti e politici, si riempiono la bocca di federalismo. «Si è trattato di una vera e propria prova sul campo del federalismo - spiega Biasutti -. Quell’autogoverno locale che potrebbe essere utile all’intero Paese».


Ma perché, secondo lei, il modello Friuli non è mai diventato legge?

Non ho mai capito il perché. Difficile da ammettere, ma la politica italiana è questa.


Un’altra occasione persa?

Sicuramente.


Cosa successe all’epoca?

Dopo la vicenda disastrosa del terremoto del Belice, il governo italiano, all’epoca presieduto da Aldo Moro, su sollecitazione dei parlamentari del Friuli Venezia Giulia, decise di affidare alla Regione la gestione della Ricostruzione. Da questo punto di vista si fece una scelta federalista ante litteram.


Anche la Regione, a sua volta, fece una scelta federalista, affidando ai Comuni compiti primari...

Esatto. Bisogna però distinguere tra l’emergenza e la ricostruzione. L’emergenza fu gestita dal governo che nominò commissario straordinario il sottosegretario agli Interni Giuseppe Zamberletti.


Il ruolo oggi ricoperto da Bertolaso..
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Diciamo il Bertolaso di oggi. Anche se allora non c’era la Protezione civile che è nata proprio a seguito della nostra esperienza.


Che compiti aveva il commissario straordinario?

Zamberletti aveva dei poteri speciali, quasi al limite della Costituzione. Poteva fare tutto. Per capirsi: con un decreto poteva cambiare un piano regolatore.


Come si iniziò?

La fase iniziale è quella di dare un ricovero alla gente. Il problema era costruire le tendopoli e mettere in sicurezza i paesi disastrati. Teniamo conto che non c’era la Protezione civile.


E chi la sostituì?

Un aiuto fondamentale arrivò dall’esercito: in Friuli furono impiegati 50mila militari.


E poi?

Poi arrivò la legge nazionale che ci dava le risorse e le competenze. Coniammo così lo slogan: «Prima le fabbriche, poi le case e infine le chiese». In pratica vennero definite le priorità: fabbriche, case e chiese. È lo slogan che identifica il modello friulano. Da subito bisognava garantire i posti di lavoro per evitare l’esodo.


E da dove salta fuori l’idea della grande Udine e grande Pordenone?

Fu pensata da qualcuno a livello nazionale. In pratica si voleva portare tutti ad abitare a Udine o a Pordenone.


L’idea fu rispedita subito al mittente...

Fu rigettata senza alcuna incertezza. Anzi, nacque così l’altro slogan: «Ricostruire com’era e dov’era».


Non proprio in linea con la «New Town» proposta dal premier Berlusconi per L’Aquila...

La «New Town» non sta nel modello friulano. La storia. la cultura, le tradizioni, l’ambiente non possono essere cancellati.


Furono fatti anche degli errori?

All’inizio facemmo un grosso errore. In Consiglio regionale facemmo subito una legge per il ripristino delle case danneggiate. Durante l’estate ci attrezzammo a partire con questo. A settembre arrivò un’altra scossa devastante. E allora capimmo che bisognava operare in modo diverso. La Ricostruzione andava pianificata. E infatti il governo fu costretto a richiamare in servizio il commissario Zamberletti.


E la popolazione?

La popolazione più colpita fu trasferita al mare (Grado, Lignano, Bibione) con l’impegno che sarebbe rientrata entro il primo maggio dell’anno successivo. E tutti giornalmente venivano riportati a lavorare nei loro paesi.


Un impegno rispettato?

Entro il primo maggio furono costruiti tutti i villaggi di case prefabbricate. Il fatto che diede la possibilità alla gente di ritornare nei loro paesi per avviare la vera ricostruzione.


Ma quale fu la scelta determinante?

Avvenne prima della fine del 1978. Fu la grande scelta urbanistica. Per la prima volta in Italia fu approvato un Piano urbanistico regionale. È il primo grande esempio e l’unico rimasto di pianificazione territoriale.

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