Biasin: serie C d’Elite unica via, pronto a investire

In una telefonata con Milanese il presidente sposa l’idea di riforma del campionato. Settimana decisiva per il futuro
Silvano Trieste 13/06/2017 Il Presidente della U.S.Triestina, Mario Biasin
Silvano Trieste 13/06/2017 Il Presidente della U.S.Triestina, Mario Biasin

TRIESTE Tra lock down italico e quasi lock down australiano non è mai mancato in questi mesi un filo diretto tra Milanese e il cugino Mario Biasin. Perché nonostante il blocco sociale e sportivo il progetto-Triestina non ha mai smesso di esistere. L’amministratore unico del resto non ha mai nascosto le ambizioni si risalita da quando ha rilevato i destini alabardati a un soffio dall’Eccellenza. E in questi due mesi la società ha sempre espresso il suo pensiero in modo esplicito: chiudere limitando il più possibile i danni questa stagione per pensare da subito alle prossime. Già perché l’onda lunga dello tsunami covid-19 avrà i suoi strascichi sul prossimo campionato e anche probabilmente su quello successivo. Un problema non da poco da affrontare soprattutto con chi ci mette il denaro. E siccome Mario Biasin sul progetto Unione ha già riversato una decina di milioni a Melbourne arrivano notizie costanti dal cugino.

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Il filo Trieste-Australia

«Intanto sono contento che la situazione per gli italiani e i triestini stia migliorando come sta migliorando l’epidemia anche in Australia nonostante l’ondata non sia stata così devastante. Per quanto riguarda la Triestina vedo benissimo l’ipotesi di creare una C d’Elite, una soluzione che può favorire nel tempo la sostenibilità economica del campionato. Anzi ne sarei entusiasta e pronto a investire anche di più sulla Triestina per fare una grande squadra» è in sintesi quanto detto dal presidente a Milanese in una chiamata di sabato. E tra qualche giorno il presidente Biasin si rivolgerà con un breve video anche al popolo alabardato. È uno stimolo in più per accelerare su un’idea già lanciata dallo stesso Milanese e raccolta da alcuni presidenti delle società più disponibili ad investimenti e anche dallo stesso presidente federale Gabriele Gravina.

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L’Assemblea di giovedì

L’idea potrebbe rimbalzare già nell’Assemblea di giovedì anche se il presidente della Lega Pro ha il compito di fare da mediatore con l’esercito delle società di piazze con bacini d’utenza e blasone meno sostanziosi di Trieste, Bari, Catania, Padova, Modena, Reggio Emilia, Cesena. Società che non vedono di buon occhio un ritorno alla situazione pre 2012 (quella con C1 e C2). Eppure, con una riforma costruita con raziocinio e con alcune leggi ad hoc (anche in tema fiscale), un ritorno al passato potrebbe convenire eccome. In ogni caso dopo due mesi di parole è arrivato il momento di decidere.

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Chiudere o giocare

In primis la Lega deve decidere, anche se poi toccherà al Consiglio federale, se i campionati vanno sospesi come hanno già chiesto i presidenti, se giocare e quando (impossibile prima di agosto) se fare le promozioni e retrocessioni a tavolino, o invece disputare dei play-off (magari ad agosto) per evitare contenziosi già annunciati per esempio dal Bari. I medici hanno dato parere negativo sulla possibilità di attuazione del protocollo sanitario (peraltro non ancora avvallato dal Ministero) elaborato per la serie A. L’indicazione quasi obbligata sarà decisiva non solo per i futuri assetti ed eventualmente per impostare i nuovi format ma anche per capire il peso economico sulle spalle delle società.

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I conti dello stop

Le partite mancano dal 24 febbraio e la gran parte dei giocatori sotto contratto sono rimasti a disposizione allenandosi in casa e seguendo le indicazioni degli staff. Ma la prestazione in campo non c’è stata per l’intervento del Governo in seguito a pandemia. Se si torna a giocare le società devono rispettare gli impegni, altrimenti le parti dovranno aprire delle trattative per un accordo possibilmente consensuale. Quattro mensilità significano per la Triestina, tanto per fare un esempio, oltre 1,5 milioni di euro. Il governo dovrebbe venire incontro, specie se sarà lo Stato a imporre direttamente (improbabile) o di fatto l’impossibilità a giocare. Nel decreto legge che sarà portato alle Camere nei prossimi giorni l’art.38 prevede l’estensione della cassa integrazione agli sportivi professionisti con un reddito lordo annuo fino a 50 mila euro. Se va in porto l’esecutivo soddisferà una delle richieste presentate da Ghirelli e da Tommasi (Aic) ma saranno escluse alcune centinaia di giocatori di C con redditi superiori.

I danni al sistema

Oltre alla questione giocatori il cui budget rappresenta il 70% circa dei costi di ogni Club le società hanno chiesto allo Stato di mettere in atto alcune azioni per ammortizzare i mancati ricavi (interventi sulla fiscalità, allargamento della Cig, contributi a fondo perduto). La proroga nei pagamenti e la possibilità di accedere ai prestiti già destinati alle imprese non è una soluzione anche perché sono misure che incrementano i debiti di Club che già hanno ampi disavanzi dalla gestione ordinaria. Almeno un terzo dei ricavi di questa stagione (anche se gli abbonati non faranno ricorsi) non sarà riscuotibile. Senza incassi e con gli sponsor congelati alla Triestina mancherà all’incirca un milione di euro. Insomma ce n’è abbastanza per capire come il sistema possa andare in collasso specie senza l’intervento dei portafogli dei presidenti e molti di questi sono impegnati a impiegare energie e denaro nelle loro aziende primarie.

Gli effetti collaterali

Anche se si riuscisse con fatica a tamponare le falle economiche di questo finale di stagione le prospettive per la prossima sono anche peggiori. Con un campionato davanti la cui data d’inizio è tutta da valutare e che quasi certamente si dovrebbe disputare per 2 terzi a porte chiuse (non prima del 2021), la Triestina (sempre stando ai dati delle previsioni di bilancio pre-covid) perderebbe altri due milioni di ricavi tra mancati incassi e impossibilità di raccogliere nuovi sponsor e la necessità di concedere degli sconti a quelli vecchi.

Appare sinceramente insensato chiedere a un imprenditore, fosse anche un filantropo o quasi come Biasin, di investire milioni a fronte di potenzialità nulle di incremento dei ricavi della società.

Il cambio di passo

Ecco perché diventa essenziale cogliere l’occasione di questa situazione drammatica per scommettere su un nuovo format. Anticipare la selezione naturale, che potrebbe trasformarsi in un’ecatombe, per creare un torneo a 20 (potrebbe anche essere un secondo girone di B ma le attuali società della cadetteria non sarebbero d’accordo su una divisione della torta per di più in questo momento), più appetibile come prodotto per le tv, più snello nello sviluppo (senza i play-off a 27) e che offre più opportunità di salita (con 4 promozioni su 20 club) in una categoria al momento più remunerativa e di prestigio.

I club meno strutturati, ma essenziali sia per il ruolo sociale sul territorio che per la formazione dei giovani, dovrebbero godere di vantaggi economici in carico sia ai club maggiori (prestiti e valorizzazioni) che dallo stato (snellimento di contributi e della fiscalità).

Troppo per l’Italia e per il mondo del calcio? Forse sì ma o ci si prova adesso o mai più. —


 

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