Bertinotti: «Il Pd renziano non c’entra nulla con il Pd»
Ma la costruzione di un soggetto di sinistra radicale sconta l’immaturità italiana»
TRIESTE. Matteo Renzi e Beppe Grillo sono le due facce del populismo italiano in un’Europa lacerata dalla guerra fra l’alto e il basso della società. L’ex presidente della Camera e segretario del Prc Fausto Bertinotti riflette sul futuro del nostro Paese e della sua sinistra.
Bertinotti, il dato numerico più eclatante è il 40% del Pd. È un partito di sinistra che sfonda al centro o viceversa?
Secondo me nessuna delle due. Ma per poter rispondere devo partire dal vero dato più significativo delle europee: l’astensione. È una percentuale clamorosa, esplicativa di questi anni fondativi dell’Europa “reale”, con le sue politiche di austerità e il suo assetto post democratico. L’astensione ha sanzionato l’austerità e l’oligarchia, e anche il voto italiano va visto sotto questa luce. Boom del Pd incluso.
Lei come lo legge?
Siamo chiari, il Pd ha conseguito un risultato enorme. Ma il Pd di Renzi non è più il Pd, è una formazione inedita per cui i termini di destra, sinistra e centro non sono utilizzabili. È un fenomeno trasversale come specularmente lo è il Movimento 5 Stelle. Due realtà inedite nella storia della Repubblica. Per questo sbaglia chi paragona il Pd alla Democrazia cristiana. È un’altra storia, una nuova era.
Cosa contraddistingue questa nuova era?
Innanzitutto l’insuccesso dei partiti tradizionali. Pensiamo ai socialisti europei: se si esclude l’oasi tedesca, dove il partito socialdemocratico gode dei vantaggi di una situazione economica e sociale unica, crollano ovunque. Il Pasok in Grecia, il Psoe in Spagna, i socialisti francesi: tutti a fondo. Qualche anno fa il Pd era accusato di non essere un vero partito socialista perché non rispondeva ai caratteri tipici, oggi va bene proprio perché è un’altra bestia.
E che bestia è?
È una bestia populista. Se il populismo di Grillo è hard e dal basso, il populismo di Renzi è soft e dall’alto.
Assieme assommano il 60% dei votanti.
Che sono comunque la minoranza degli italiani. Ribadisco, non si può ragionare come se non ci fosse l’astensione, è una sgrammaticatura democratica. Oggi pare non sia importante, ma francamente qualche problema di legittimazione bisognerebbe porselo.
Come legge l’esordio della lista Tsipras?
È un risultato molto apprezzabile perché avviene in un contesto europeo in cui i partiti di sinistra incassano obiettivi importanti: si pensi al successo di Podemos in Spagna o di Sinn Fein in Irlanda. Sono formazioni che funzionano perché si pongono sul nuovo terreno dello scontro, fra l’alto e il basso della società.
E in Italia?
La lista italiana ha ottenuto un risultato promettente. Credo che ciò sia stato reso possibile dalla dimensione europea assunta con la partecipazione di Tsipras. Non credo di essere molto severo se dico che senza la candidatura del politico greco la lista non ci sarebbe stata. Ciò è indicativo sia delle opportunità, sia dell’immaturità italiana nella costruzione di un soggetto di sinistra radicale. È un problema aperto e tocca a chi sta sulla scena occuparsene.
Da noi c’è Grillo. Nel resto d’Europa però si fa strada un populismo dai caratteri più novecenteschi e nazionalisti.
Il populismo può essere di destra, di centro o di sinistra. Qui c’è il populismo trasversale dei 5 Stelle, un fenomeno molto originale. In altri paesi ha preso invece uno sbocco reazionario, xenofobo, con un rinculo sulla nazione, sulla patria piccola o grande che sia. Secondo me è anche la conseguenza della costruzione europea così com’è.
Che fare di quest’Ue?
Va riformata completamente. L’Europa è una necessità storica per chi voglia costruire una società in cui affermano dei diritti universali. Almeno negli annunci, il nostro continente è stato la culla di questa storia, e nel secondo dopoguerra ha realizzato un compromesso sociale unico grazie anche ai grandi movimenti di massa.
Cos’è andato storto?
L’Europa reale, e uso l’aggettivo nella stessa accezione di socialismo reale, è il contrario delle sue premesse. Molti commentatori intelligenti vedono uno scontro in corso fra una corrente liberaldemocratica universale e una componente sciovinista nazionalista. A me non pare: mi pare che i diritti vengano erosi in tutti i paesi, facendo esplodere le disuguaglianze. Lo scontro c’è, ma è fra alto e basso.
Che fare?
I popoli devono riconquistare la sovranità. L’Europa rinasce dal conflitto oppure non rinasce. Machiavelli notò che quando le società antiche entravano in crisi e le classi dirigenti non erano più in grado di esprimere la domanda di futuro della popolazione, era il tumulto o la rivolta a rimettere in moto i processi. L’Europa di domani dovrà nutrirsi di un conflitto progressivo oppure vivrà drammaticamente la sua crisi.
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