Berlino rispedisce a casa i serbi a caccia di fortuna

Oltre 2300 persone partite da Belgrado solo in luglio, Rom nel 90 per cento dei casi. Pressioni anche sui "migranti economici" in arrivo da altri Paesi balcanici
Uno scorcio del palazzo del Reichstag a Berlino
Uno scorcio del palazzo del Reichstag a Berlino

BERLINOA Dovranno tornare a casa i Serbi che avevano seguito la “rotta dei Balcani” fino alla Germania, terra promessa del lavoro e del benessere. Nei giorni scorsi il quotidiano belgradese “Politika” ha quantificato il fenomeno: 24mila di questi “migranti economici”, come vengono definiti dalle autorità, hanno già ricevuto un invito a tornare a casa. Gli altri, in totale circa 200mila, potrebbero presto vedersi recapitare la stessa lettera.

Accade perché la Serbia è considerata da Berlino uno Stato “sicuro”, come la maggior parte degli altri Paesi dei Balcani da cui, ciò nonostante, continuano ad arrivare migliaia di persone in cerca di una vita migliore. Secondo l’Ufficio tedesco per l’immigrazione e i rifugiati (Bamf), nei primi sei mesi del 2015, oltre 31mila kosovari, 22mila albanesi, 15mila serbi e 6mila macedoni si sono recati in Germania nella speranza di ottenere lo status di rifugiati (costituendo così 4 delle 10 nazionalità più comuni tra i migranti in arrivo nella Repubblica Federale). Ma solo in rarissimi casi, chi proviene dalla penisola balcanica può ottenere il diritto all’asilo. Secondo le autorità serbe, il 90% delle persone partite dal paese - più di 2.300 nel solo mese di luglio - sono di etnia Rom e motivati perlopiù da ragioni economiche.

Una volta arrivati in Germania, come ricostruisce il portale regionale Birn, i migranti che fanno richiesta di asilo sono ospitati in un ricovero e ricevono cibo e circa 140 euro al mese, in attesa del completamento della procedura, che può richiedere diversi mesi. Dal ministero dell’Interno di Berlino arriva dunque un invito, rivolto al governo di Belgrado, a migliorare le condizioni di vita della popolazione Rom, e specialmente di chi è rimpatriato dalla Germania.

Il governo di Angela Merkel ha stimato che entro fine anno circa 800mila persone presenteranno richiesta di asilo nei vari Länder, provenienti soprattutto dalla Siria, dall’Iraq e dall’Afghanistan. Non c’è dunque spazio per chi fugge dalla miseria del Sud-Est europeo e Berlino cerca una soluzione legale per limitare il numero di queste partenze destinate all’insuccesso.

«L’idea di ampliare nei Balcani la lista dei Paesi di origine ritenuti “sicuri” non dev’essere un tabù», ha affermato il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier. Nella regione balcanica soltanto Kosovo, Albania e Montenegro hanno tuttora uno status in corso di discussione. Se dovessero venire a loro volta considerati dei Paesi sicuri, il numero di respingimenti potrebbe aumentare ancora.

Berlino ha inoltre già prodotto una campagna esplicativa per dissuadere gli abitanti della penisola a recarsi in Germania. Un video della durata di quattro minuti, realizzato proprio dall’Ufficio tedesco per l’immigrazione e i rifugiati, mostra delle persone interrogate dalla polizia, poi accompagnate all’aeroporto per il rimpatrio. Nelle immagini «la gente è comprensibilmente triste, i funzionari sono cupi e il tempo è grigio», commenta la Deutsche Welle. Il messaggio, dunque, è chiarissimo.

Non è la prima volta che la Germania cerca di dissuadere le partenze dai Balcani. A metà dello scorso giugno l’ambasciatrice tedesca a Podgorica, Gudrun Steinacker, aveva già messo in guardia i Montenegrini, mentre neanche due settimane fa, lo stesso direttore del Bamf ha affermato in un’intervista a Die Welt che quasi 100mila persone provenienti dall’ex Jugoslavia o dall’Albania sarebbero state rimpatriate.

Soltanto chi proviene dalla Croazia (o dalla Slovenia, ma il fenomeno qui è minore), ormai Paese membro dell’Unione europea, potrà trasferirsi in tutta tranquillità nella Repubblica federale. Un destino completamente diverso, dunque, per delle persone che risiedono a poche centinaia di chilometri di distanza e, fino a una ventina d’anni fa, nello stesso Paese.

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