Berlino apre le porte a lavoratori stranieri ma esperti: in migliaia dall’ex Jugoslavia

Da marzo in vigore la legge che prevede iter d’ingresso facilitati. Boom di scuole di tedesco da Belgrado a Sarajevo
Rear view doctors and nurses walking in hospital corridor. Professional healthcare workers walking together inside the nursing home.
Rear view doctors and nurses walking in hospital corridor. Professional healthcare workers walking together inside the nursing home.

BELGRADO «Ho studiato per diventare infermiera, specializzata nell’assistenza agli anziani. Non sono mai riuscita a trovare un posto e faccio la colf da anni. Ma il mio sogno è la Germania, dove noi serbe oggi abbiamo un mercato, perché là nessuno vuole lavorare per 1.500-2.000 euro». Sono le parole di Jelica, quarantenne serba, che dopo il suo orario di lavoro come donna delle pulizie frequenta assiduamente una scuola privata di tedesco a Belgrado, uno dei tanti istituti privati che hanno conosciuto un boom in questi mesi, in Serbia e in gran parte dei Balcani. Perché il sogno di Jelica è condiviso da migliaia, forse decine di migliaia di camici bianchi e verdi balcanici, medici o infermiere di professione o per studio che hanno già le valigie pronte per emigrare quanto prima – già dalla prossima primavera – verso la nuova terra promessa, la Germania.

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E si tratta di un sogno realistico: il primo marzo 2020 entrerà infatti a tutti in vigore a tutti gli effetti in Germania il nuovo «Fachkräfteeinwanderungsgesetz», la legge sull’immigrazione che di fatto aprirà le porte a migliaia e migliaia di lavoratori extracomunitari qualificati, in testa quelli dei vicini Balcani ma anche provenienti da destinazioni più remote. L’obiettivo è quello di risolvere il grave problema della carenza di manodopera in Germania, in settori chiave come l’It, i servizi e la sanità. La soluzione è stata individuata: più immigrazione da Stati terzi di persone che abbiano una istruzione qualificata, con procedure d’ingresso facilitate. In breve, se un extracomunitario ha già in mano un’offerta da parte di un datore di lavoro tedesco potrà fare subito le valigie, sempre che abbia in tasca un diploma valido.

All’inizio, ha spiegato il numero uno dell’Agenzia federale tedesca per l’impiego, Detlef Scheele, si punterà soprattutto a riempire le caselle vuote «nel settore dell’assistenza» sanitaria e agli anziani.

Ma anche in attesa della legge, l’esodo di lavoratori balcanici verso la Germania - infermieri in testa - appare già oggi massiccio e inarrestabile. Lo ha confermato un’approfondita inchiesta della Deutsche Welle e del settimanale serbo Vreme, che sulla base di dati ufficiali hanno riferito di quasi 51mila addetti del settore sanitario con passaporto balcanico già oggi operativi in Germania, +6.562 rispetto a un anno fa. In gran parte giungono dalla Bosnia (20mila) e dalla Serbia (14mila), ma sono tantissimi anche i kosovari, gli albanesi e i macedoni. «Migliaia di lavoratori del settore medico ogni anno se ne vanno dalla Serbia e dai paesi confinanti, verso la Germania, dove ospedali e case di riposo sono oggi pronti a pagare lautamente» i loro servigi, ha scritto Vreme.

Non sono parole senza fondamento. Secondo fonti interne al settore sanitario assistenziale tedesco, importanti catene di ospizi tra Berlino e Monaco di Baviera arrivano oggi a pagare «fino a 15mila euro» per assumere un’infermiera serba o bosniaca, risorse che devono essere equamente distribuite tra i reclutatori sul posto, le agenzie di lavoro e le scuole di lingua tedesca che, negli ultimi mesi, stanno sorgendo come funghi tra Belgrado e Sarajevo. Ma c’è anche altro, come il controverso progetto della Cooperazione tedesca, la Giz, il “Triple Win”, che già dal 2013 in Serbia e Bosnia, con il beneplacito delle autorità locali, recluta infermieri da portare in Germania. Vincono tutti, secondo la Giz: Berlino, che assume camici bianchi, e questi ultimi che trovano lavoro. E anche i paesi balcanici, che spedendo all’estero i loro cervelli vedono ridursi «la pressione sul mercato del lavoro», secondo il Giz. Sguarnendo però gli ospedali locali, non proprio un problema minore. —


 

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