Belgrado in cima alla classifica delle città più inquinate del pianeta
BELGRADO Belgrado la settimana scorsa al primo posto al mondo, con un indice di 179 a segnalare un’aria mefitica, piena di particolato e dunque «non sana», seguita da metropoli asiatiche celebri per l’atmosfera malsana, come Delhi, Karachi e Mumbai. Nella triste top ten, anche Sarajevo, poi balzata in testa nel weekend, sorte condivisa con Skopje e persino Zagabria.
Anno nuovo, ma nessun passo avanti compiuto nei vicini Balcani sul fronte inquinamento dell’aria, uno dei problemi cronici di una regione che, malgrado promesse e rassicurazioni, continua a produrre energia elettrica usando la sporca lignite, si riscalda con stufe a legna o a carbone e guida, causa tasche vuote, vecchie auto inquinanti, soprattutto obsoleti diesel.
Il risultato? «Belgrado di nuovo la città più inquinata al mondo», hanno denunciato allarmati in questi giorni i media serbi, informando che anche altre cittadine più piccole sono entrate in «zona rossa» per lo smog. Tra esse, Nis, Novi Sad, Pancevo, Novi Pazar, Uzice, Cacak.
Sui social, allarmi simili. «Attenzione, lo smog è estremamente alto e quasi tutte le stazioni di misurazione danno notizia del pericolo», ha avvisato il movimento Ne davimo Beograd, che ha attaccato il governo perché «non fa nulla per risolvere questo problema».
«Nei prossimi giorni ci sarà vento e pioggia e lo smog calerà, per poi risalire, continuiamo ad avere problemi con sistemi di riscaldamento, traffico, industrie e lo Stato deve risolverli», ha rincarato Milenko Jovanovic, ex numero uno dell’Agenzia per la protezione dell’Ambiente in Serbia. Stato che però continua a fare orecchie da mercante. L’inquinamento in Serbia «è presente da decenni, solo che prima non se ne parlava a sufficienza», ha sostenuto la ministra serba per l’Ambiente, Irena Vujovic, promettendo a breve un piano d’azione per il miglioramento della qualità dell’aria. Il processo sarà «lungo» e complesso, ha confermato alla Tv pubblica il climatologo Vladimir Djurdjevic. Nel frattempo, si cercano altre soluzioni. Una è la «fuga da città come Sarajevo», assediata da foschia e smog, ha raccontato l’agenzia Anadolu, postando foto della capitale bosniaca praticamente nascosta da una fitta, venefica, nebbia prodotta dai fumi di auto e riscaldamento. Tutto indica che si riprodurrà anche quest’anno lo scenario degli anni passati e dell’inverno del 2020 in particolare, quando in praticamente il 90% delle giornate sono stati superati tutti i limiti relativi all’inquinamento, ha evidenziato in questi giorni uno studio svedese sullo smog in Bosnia. «Quasi la metà delle particelle di Pm 2,5 deriva dall’uso di stufe a legna, pellet, carbone e dalla guida di automobili» spesso antiquate, mentre il 25% dello smog arriva in Bosnia dalle nazioni vicine, veicolato dai venti che trasportano i fumi delle centrali a carbone, si legge nello studio.
Non si può stare tranquilli neppure in Kosovo, dove secondo stime della Banca Mondiale ogni anno muoiono quasi 800 persone a causa dello smog, ma proiezioni Ue parlano addirittura di 4.000 decessi correlati. Per la Bosnia, sempre secondo stime Ue, sono 5.100, in Albania 5.000, in Macedonia del Nord 3.000, nel piccolo Montenegro 640. E in Serbia addirittura 14.600. Sono tutti Paesi balcanici e di quell’Est Europa che, secondo l’ultimo World Air Quality Report per il 2020, fanno parte della regione «con i più alti livelli di Pm 2,5 in Europa». Maglie nere, Bosnia, Macedonia del Nord e Bulgaria.
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