Belgrado, democrazia a rischio: oscurati i media indipendenti
TRIESTE Gli Stati Uniti muovo addirittura due alfieri diplomatici per cercare di risolvere la crisi tra la Serbia e il Kosovo. L’Unione europea invia l’Alto rappresentante per gli Affari esteri Josep Borrell e si alambicca da mesi sulla liason tra Belgrado e Mosca. Ma chi si occupa di quello che sta succedendo in Serbia? Nessuno. E il padre padrone del Paese ex jugoslavo, il presidente Aleksandar Vučić gongola. Al punto da permettersi di annullare in pratica la libertà dei media nel Paese. Il passo verso la dittatura è breve, o, meglio, verso la “democratura”, termine coniato dal defunto intellettuale croato Predrag Matvejević.
L’ultima mossa, a pochi mesi dalle politiche che si terranno a fine aprile o ai primissimi giorni di maggio, è stata il taglio di 300 mila utenze via cavo, su un bacino di un milione di persone, della Televisione indipendente N1 controllata dalla Cnn e unica voce libera nel magma dei media controllati dal potere serbo a partire, ovviamente, dalla Tv di Stato la Rts. Per la carta stampata l’orizzonte è piatto già da tempo. Una situazione gravissima con i giornalisti indipendenti minacciati dai poteri forti (a un giornalista è stata anche bruciata la casa) oppure ridotti economicamente sul lastrico al punto che alcuni di loro, nel novembre scorso, approfittarono del Forum dell’Iniziativa centroeuropea sulla libertà di stampa a Zagabria per chiedere proprio ai rappresentanti, peraltro imbarazzatissimi non essendo questo il loro ruolo politico e istituzionale, sovvenzioni per i propri quotidiani indipendenti che altrimenti avrebbero chiuso i battenti. Una richiesta vana, ma non per cattive intenzioni dell’Ince, ma perché il ruolo dell’Iniziativa esula da quanto chiesto dai colleghi serbi.
La televisione N1 trasmetteva attraverso due cavi gestiti in pratica da Telekom Srbija (controllata dallo Stato) la quale sostiene che la società che controlla N1, ossia United Media, non opera secondo la legge, da qui l’oscuramento. A fianco di Telekom si è schierata anche la premier Ana Brnabić, la quale ha affermato che i notiziari di N1 sono diventati il più forte tra i partiti dell’opposizione e ha preannunciato che sulla questione si sarebbe rivolta all’Unione europea. Forse farebbe meglio a meditare sull’ulteriore perdita di sei posti del suo Paese nella graduatoria stilata dall’Economist per il 2019 e relativa all’indice di democrazia. La Serbia è ora al 66esimo posto.
A prendere le distanze dal premier Brnabić è stato l’ambasciatore Usa a Belgrado, Anthony Godfrey il quale ha affermato che «sarebbe nell’interesse della Serbia avere il massimo di fruitori per tutti i media» e ha ricordato come l’Unione europea, l’Osce e gli stessi Stati Uniti abbiano più volte rimarcato il fatto della mancanza di una completa libertà di stampa in Serbia, questione questa che costituisce uno degli ostacoli principali da superare lungo il percorso intrapreso da Belgrado verso l’adesione all’Ue.
Intano il presidente Vučić, leader del Partito progressista (Sns), secondo indiscrezioni del quotidiano belgradese Blic, avrebbe decisio con il suo principale alleato, il socialista e ministro degli Esteri Ivica Dačić di non creare un cartello elettorale comune per le prossime politiche. Se l’opposizione ha deciso di boicottare le urne, questo il ragionamento del “gatto e la volpe” della politica serba, è meglio correre separati, in questo modo voti in libertà potrebbero comunque confluire dall’una o dall’altra parte facendo in modo che uno più uno faccia tre. Con buona pace di Pitagora e Cartesio. —
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