Batteri Ogm per curare gravi patologie

Sono decine le aziende negli Stati Uniti che inseriscono nei batteri intestinali geni per curare alcune patologie. Ma si pongono alcuni interrogativi etici

TRIESTE Pesano più di 2 chilogrammi e sono in un numero almeno 10 volte superiore a quello delle nostre cellule, oltre un milione di miliardi. Questa è la fotografia dei batteri che popolano normalmente il nostro intestino, quelli che una volta venivano bucolicamente chiamati la “flora intestinale” e ora sono stati promossi al termine più tecnologico di “microbiota”.

Più di un miliardo di anni di co-evoluzione tra mammiferi e microbi ha portato alla loro interdipendenza: nell’uomo ora il microbiota riveste un ruolo fondamentale nella maturazione del sistema immunitario, regola le funzioni endocrine e i segnali al sistema nervoso, sintetizza vitamine e neurotrasmettitori, modifica i farmaci e elimina diverse tossine. E, soprattutto, non c’è virtualmente malattia in cui il microbiota non sia coinvolto, dal diabete all’aterosclerosi, includendo la depressione e le malattie autoimmunitarie. Della variabilità delle specie dei batteri che compongono il microbiota ci si è accorti sequenziandone il suo microbioma, ovvero il Dna che collettivamente questo contiene: sono quasi 10 milioni i diversi geni batterici nell’intestino, la cui combinazione varia in salute e malattia.

Il 30 maggio scorso, l’American Gut Project ha pubblicato i suoi primi risultati: analizzando il microbioma di oltre 11mila individui da 45 regioni di Stati Uniti, Inghilterra e Australia, un team di ricercatori di San Diego ha rivelato la diversità dei batteri in funzione di abitudini alimentari, farmaci e malattie. Ad esempio, le persone con disturbi mentali, come la depressione, o neurologici, come il Parkinson, sorprendentemente tendono ad avere un microbiota simile, suggerendo un legame tra queste condizioni e la composizione della flora intestinale. E ora l’ultima novità: modificare geneticamente il microbiota per curare le malattie. Sono decine le aziende negli Stati Uniti che inseriscono nei batteri intestinali geni per curare alcune patologie genetiche, detossificare il sangue nell’insufficienza epatica, proteggere contro gli effetti collaterali della chemioterapia sulla mucosa orale, prevenire al trasmissione di HIV, persino sintetizzare in maniera regolata l’insulina nei diabetici. Non senza preoccupazioni etiche: difficile che questi geni sintetici passino dai batteri al genoma delle cellule umane, ma concepibile che colonizzino altre specie batteriche nell’intestino; vista la massa totale del microbiota, le conseguenze sono oggi imprevedibili.

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