Battaglia legale sul restyling del Rossetti, Comune di Trieste condannato a pagare 5 milioni

Dopo 20 anni di guerra nelle aule di tribunale, la Corte d’Appello ha dato ragione alla ditta di Roma che eseguì i lavori
Lasorte Trieste 03/05/20 - Politeama Rossetti
Lasorte Trieste 03/05/20 - Politeama Rossetti

TRIESTE Una “grana” venuta dal passato. Il Comune dovrà sborsare quasi cinque milioni di euro per una vicenda vecchia ormai di quasi vent’anni, la ristrutturazione del Politeama Rossetti. Lo stabilisce una sentenza della Corte d’appello del Tribunale di Trieste, che nei giorni scorsi ha apposto la parola “fine” a una diatriba giudiziaria interminabile fra l’ente pubblico e l’impresa romana che realizzò l’opera, Renzo Nostini Sr, poi fallita. Uno scontro passato attraverso quattro gradi di giudizio, dal quale il Comune è uscito sconfitto.

Potremmo dire che tutto iniziò con Pippo Baudo.O meglio, con l’inaugurazione in pompa magna che la giunta guidata dall’allora primo cittadino Riccardo Illy volle fare del rinato Politeama: era la primavera 2001, e le operazioni di ristrutturazione erano iniziate nel luglio di due anni prima, AD 1999. Il costo previsto per l’opera era di otto miliardi e mezzo di vecchie lire, sette dei quali provenienti dalle casse della Regione, uno e mezzo direttamente dal Comune.

In corso d’opera, però, vennero apportate delle varianti, in seguito alle quali la ditta incaricata, la “Costruzioni ing. Renzo Nostini” iniziò a iscrivere delle riserve contabili, che a fine lavori risultarono ammontare alla vertiginosa cifra di 12 miliardi di lire.

Secondo i costruttori tra le ragioni dell’esorbitar di costi c’era anche l’accelerazione dei tempi richiesta dalla giunta per arrivare in tempi brevi alla fine dell’opera (a un anno dalla fine dei lavori oltre un centinaio di piccole aziende vantava credito presso la Nostini per gli interventi d’urgenza che erano state chiamate a fare).

Dalle quinte del Politeama si passò in un lampo ai banchi tribunalizi, innanzi a quali dovette comparire il Comune, alla cui guida era arrivato nel frattempo l’attuale sindaco, Roberto Dipiazza. Una bella gatta da pelare, tanto più che l’ente aveva continuato a spendere per il teatro: a titolo d’esempio, nel 2006 furono stanziati 227 mila euro per rimettere in sesto l’impermeabilizzazione del tetto.

Nel marzo del 2007 si arrivò al primo grado: i giudici riconobbero come valido l’importo calcolato dal consulente tecnico d’ufficio, e condannarono il Comune a pagare 3 milioni 802 mila euro ai curatori fallimentari della Nostini, oltre agli interessi legali e alle spese di lite.

Palazzo Cheba ritenne però non fosse il caso di demordere e decise, su consulto anche di legali esterni, di ricorrere in appello: e il secondo grado di giudizio parve allontanare la spada di Damocle dal collo dell’ente, riconoscendo in parte le sue ragioni, riducendo in modo consistente la cifra a favore del Fallimento Nostini portandola a 729mila euro più spese accessorie, per un totale appunto di 857mila 700 euro. Tutto sommato una soluzione accettabile per la giunta, allora guidata da Roberto Cosolini, che decise di non ricorrere in Cassazione.

Vi ricorse però il curatore fallimentare, che in grado ultimo di giudizio trovò soddisfazione parziale: la Cassazione trovò infatti parziali le motivazioni della sentenza d’appello, imponendo di rifarla.

E arriviamo così ai fatti recenti, alla recente - seconda - sentenza della Corte d’appello di Trieste: il Comune dovrà sborsare, a seconda del calcolo degli interessi, una cifra compresa fra i 4,5 e i 4,8 milioni di euro.

Non c’è da aspettarsi che arrivino ulteriori gradi di giudizio: un ulteriore ricorso in Cassazione, stavolta da parte del Comune, rischierebbe di far più danni che altro al bilancio dell’ente, già provato dalla pandemia. Resta aperta la possibilità, però, di ulteriori approfondimenti da parte della Corte dei conti su una vicenda tanto onerosa per il bene pubblico. —


 

Riproduzione riservata © Il Piccolo