Basaglia, l’orrore del manicomio
La rivoluzione nata a Gorizia e Trieste raccontata al grande pubblico
L’orrore dei manicomi in prima serata, ieri e oggi, su Raiuno. Le sevizie ai pazienti, la contenzione, le camicie di forza, l’elettroshock. Tutta roba vera prima di Basaglia, diventata ora fiction nel film per la tivù ”C’era una volta la città dei matti”. Che racconta per la prima volta alla grande platea televisiva la rivoluzione basagliana, nata fra Gorizia e Trieste, proprio nel periodo in cui riprende vigore il dibattito che vuole condurre a una revisione di quella Legge 180 che nel ’78 ha chiuso i manicomi.
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Si parte da un simbolico tuffo in Canal Grande, nella Venezia borghese di mezzo secolo fa. Il giovane Franco Basaglia - interpretato da un convincente Fabrizio Gifuni - sfida la sua ragazza a dirgli sì, «altrimenti mi butto dalla finestra...». Detto, fatto. Seguono le prime disquisizioni teoriche nelle aule di medicina dell’università di Padova, le prime frizioni con il mondo accademico. E l’arrivo nel ’61, come direttore, all’ospedale psichiatrico di Gorizia. Lì, in mezzo alle tante, agghiaccianti storie di ordinaria vita manicomiale, Basaglia-Gifuni incontra anche la giovane Margherita, interpretata da Vittoria Puccini. Che è finita là dentro solo per avere la colpa di essere viva. Fra matti veri e presunti. Giorno dopo giorno, anno dopo anno, in quel luogo di repressione della malattia e non di una sua possibile cura, lo psichiatra veneziano elimina ogni forma di contenzione fisica dei malati, permette loro di passeggiare nel parco, offre loro la prima vera possibilità di guarigione. Insomma, restituisce loro dignità umana, diritti civili, speranza. Fra mille difficoltà l’impossibile diventa possibile.
IMMAGINI Sul set durante le riprese
«La prima volta che entrai all'ex ospedale psichiatrico di Trieste - ha detto il regista del film Marco Turco - sapevo che mi stavo mettendo su una strada lunga e difficile, ma non avevo idea del mondo in cui sarei entrato. È stata l'esperienza basagliana a indicarmi la strada da seguire, quella di stare con i pazienti, di conoscerli, di parlarci, di ascoltarli anche quando le cose che mi dicevano erano incomprensibili. I racconti delle loro sofferenze, delle torture subite, gli elettroshock, le contenzioni, le umiliazioni andavano oltre la ricostruzione storica di quegli avvenimenti, entravano nel personale, nell'intimità e questo dava loro quella concretezza che io ero tenuto a ricostruire attraverso la finzione. Questo è stato il leit-motiv di tutta la lavorazione del film: restituire la verità di quella vicenda». Stasera, seconda e ultima puntata. La fiction - girata fra Trieste, Gorizia, Venezia e Roma, prodotta da Claudia Mori, musiche di Mauro Pagani - verrà presentata venerdì anche nell’ambito dell’incontro internazionale ”Trieste 2010: che cos'è salute mentale?”, che comincia domani a Trieste. Ospiti da mezzo mondo, dai paesi dove la rivoluzione basagliana è studiata - e applicata - ormai da tanti anni.
«È il dolore che fa diventar matti, o è l’esser matti che fa sentire tanto dolore?», chiede un paziente nella fiction. Che è cruda, choccante, coraggiosa, a tratti tenera. In una parola: umana. E forse servirà a far capire qualcosa di Basaglia e della sua rivoluzione, più di tanti fumosi discorsi, e convegni, e articoli, e libri, che si sono succeduti in tutti questi anni. RIPRODUZIONE RISERVATA
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