Banche, nuova ondata di esuberi in Fvg
MILANO. La cura dimagrante è destinata a durare tra le banche del Nord-Est. Con ricadute pesanti in termini occupazionali a fronte di ammortizzatori sociali in via di esaurimento.
La Fabi (il sindacato più rappresentativo tra i bancari) ha pubblicato dati allarmanti sul settore: negli ultimi tre anni dai gruppi bancari italiani sono usciti 11.988 lavoratori e altri 16.109 sono pronti ad uscire entro il 2020 in base agli accordi sindacali sugli ultimi piani industriali. Di questi 8.928 sono potenzialmente prepensionabili. Nelle cinque maggiori banche italiane recentemente sottoposte a Stress test dell'Eba - Intesa, Unicredit, Mps, Banco Popolare e Ubi - dal 2009 al 2015 sono state chiuse o cedute 4.439 filiali.
I tagli a Nordest
La situazione è particolarmente allarmante a Nord-Est. Secondo Secondo dati che la stessa Fabi ha concesso in esclusiva a questo giornale, a fine marzo il totale delle filiali presenti in Friuli Venezia Giulia ha raggiunto quota 856, in calo di 97 unità rispetto a fine 2011, con un calo del 10%. Di pari passo, il numero dei bancari in regione è passato da 7.018 a 6.456, con un saldo negativo di 553. Simile il trend in Veneto, con gli sportelli scesi di 493 unità a quota 3.114 e i dipendenti del settore di 1.783 a 30.328. Mentre nel Trentino Alto Adige si è passati da 551 a 494 filiali e da 3.712 a 3.210 bancari.
Detto del passato, l'esodo dei lavoratori è destinato a durare ancora, dato che gli istituti di credito non hanno ancora ritrovato l'equilibrio a fronte di un'economia che cresce poco e della zavorra costituita dalle sofferenze.
Fusioni in vista.
«La situazione, di per sé non facile per tutto il settore, assume accenti particolari nel caso di Veneto banca e Banca Popolare di Vicenza», spiega il numero uno della Fabi, Lando Maria Sileoni. Il sindacato è fortemente contrario all'ipotesi di integrazione tra i due istituti, oggi più facile che in passato dato che entrambe le società sono sotto il controllo del fondo Atlante, in quanto questo sbocco comporterebbe un bagno di sangue a livello occupazionale. I due istituti occupano complessivamente circa 11mila persone, di cui 4.400 nel Veneto e 1.600 in provincia di Vicenza. Secondo uno studio realizzato da The Boston Consulting e Bernstein all'inizio del 2015, l'integrazione potrebbe portare anche alla chiusura di un centinaio di filiali, quindi un decimo del totale. Dopo tutto quello che è accaduto nell'ultimo anno e mezzo, la dieta a questo punto sarebbe anche più stretta. «I prepensionamenti devono rimanere volontari», avverte Sileoni. «Se le banche tenteranno di licenziare, scenderemo in piazza e bloccheremo il settore. Chiediamo inoltre che la magistratura accerti le responsabilità e punisca severamente coloro che hanno portato i due istituti in questa situazione».
L’allarme della Fabi
La Fabi chiede inoltre al Governo di portare l'ammortizzatore sociale di categoria, il fondo di solidarietà, da cinque a sette anni e di utilizzare a beneficio dei bancari anche i soldi che annualmente le banche versano a fondo perduto sulla Naspi di altre categorie di lavoratori. Il settore vanta infatti un credito di circa 200 milioni l'anno. Secondo la Fabi è questa la strada che risolverebbe il problema delle eccedenze di personale bancario per i prossimi tre anni.
I grandi gruppi
Ma le uscite programmate per i prossimi anni non riguardano solo i gruppi con headquarter a Nord-Est (tra i quali va incluso anche il Banco Popolare, che ha già perso mille lavoratori negli ultimi tre anni e si prepara all'integrazione con Bpm).
Ci sono anche i gruppi nazionali che, pur con diversa intensità, prevedono ulteriori snellimenti agli organici. Situazioni che dovrebbero chiarissi nei prossimi mesi. È il caso di Unicredit (6.135 uscite programmate entro il 2018), Intesa SanPaolo (1.018 al 2020) e Montepaschi (2.516 entro un anno). Si tratta di numeri a livello nazionale, in quanto a oggi è impossibile stimare quanti lavoratori aderiranno agli incentivi per l'uscita (sempre che si raggiungano per via volontaria i target previsti dalle aziende) nei singoli territori. Ma sta di fatto che ancora per diverso tempo i lavoratori del settore dovranno fare i conti con una situazione difficile.
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