«Banche, aiutateci a salvare i negozi Coop»
Il marchio? No grazie. I negozi? Anche sì. A patto che siano punti vendita medio-piccoli, e non abbiano sopra gli occhi dei colossi Coop Nordest e Conad. La strana coppia Bosco-Zazzeron, strana più che altro perché fatta da due catene locali e concorrenti, conferma dunque le rispettive intenzioni, indipendenti tra loro, a sondare il terreno dell’alienazione del patrimonio Coop.
Nei due principali competitor di casa delle stesse Operaie, insomma, la voglia di provarci c’è. C’è - lasciano intendere le proprietà di entrambi - però con prudenza e senza sbruffonaggine. Una premessa alla quale tiene, in particolare, Fabio Bosco, contitolare col fratello dell’omonima catena: «Il nostro orientamento, che si concretizza per intanto con alcune manifestazioni d’interesse non vincolanti, vuol essere tutt’altro che arrogante, ed è subordinato fin da subito all’eventuale fiducia che le banche, al caso, ci concederanno. Siamo una ditta seria, che non intende certo fare colpi di testa, dato che, peraltro, la crisi, da cui stiamo cercando lentamente di uscire, ha colpito duramente anche noi, e che giusto in questi giorni sono in fase di rinnovo i contratti di solidarietà che interessano 60 nostri dipendenti».
Una crisi che, tra parentesi, un paio d’anni fa portò ad un passo dall’acquisizione integrale, da parte delle Operaie, dei punti vendita Bosco. Poi non se ne fece niente. E ora è Bosco che si ritrova addosso i panni del possibile compratore, benché solo di alcuni negozi Coop dalla dimensione ben lontana dall’iper delle Torri o da Gran Duino. «Il nostro interesse - prosegue Bosco - è limitato e non coinvolge certamente i grandi punti vendita, tutti appannaggio di Coop Nordest e Conad. Però siamo di Trieste e vorremmo non lasciar morire determinati negozi di quartiere, magari privi per ora di offerte, recuperando oltretutto personale valido. Per questo, nell’ottica pure di un piccolo sviluppo, ci siamo fatti avanti, molto umilmente, senza arroganza. Se le banche avranno fiducia in noi». E il marchio? Non è un asset che stuzzica i Bosco: «Noi il nostro marchio ce l’abbiamo, ed è il più vecchio del settore alimentare, dato che la nostra azienda di famiglia è nata nel 1880», dunque 23 anni prima delle Operaie.
«Se parliamo dei primi ottant’anni di storia delle nostre Coop, quando queste erano una scuola di maestri del lavoro, tale da forgiare generazioni imprenditoriali, allora il marchio ha un suo valore, se invece guardiamo agli ultimi trent’anni, di scuola, ce n’è stata ben poca», fa eco Maurizio Zazzeron, il quale saluta come «una bella notizia» quella secondo cui alcuni dipendenti delle Operaie sarebbero pronti a prendere in mano un paio di market più piccoli, a Prosecco come a San Giacomo: «Ben venga se la gente, in un settore del genere, ha voglia di mettersi in discussione». Zazzeron, per ora, si è limitato a richieste di informazioni non scritte: «Aspettiamo, le manifestazioni d’interesse in questa fase non erano ancora obbligatorie. Dopodiché, al momento decisivo, per ogni asset dovrà essere dichiarata l’offerta base, se esistente, per eventuali rilanci. A quel punto potremmo dichiararci interessati, perché no, vedremo».
Dal frontre politico, nel frattempo, dopo giorni di silenzi è il capo regionale di Forza Italia Sandra Savino a battere un colpo. Destinatario: il potere Pd. «La Regione - scrive l’onorevole in una nota - non si limiti a fare da notaio, attivando gli ordinari e doverosi strumenti di sostegno al reddito, ma si impegni per una riconversione professionale ed occupazionale di tutti i lavoratori Coop, 100 persone in cassa integrazione nella nostra città senza prospettive non sono poche. In altre situazioni di crisi occupazionale si sono mosse leve di sensibilizzazione pubblica e politica. Anche in questo caso stiamo parlando del futuro di lavoratori sulle cui spalle ricade la responsabilità di dover assicurare il mantenimento delle loro famiglie. Alle istituzioni non viene chiesto solo di mettere i timbri e attivare gli ammortizzatori previsti dalla legge, ma di farsi parte attiva e imporre a chi viene ad acquisire un patrimonio commerciale non indifferente la più alta riconversione del personale possibile».
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