Bambina mai nata al San Polo «Necessario un parto cesareo»

In aula i periti della Procura: «Una gravidanza a rischio ipotizzabile dai controlli» L’avvocato difensore Cattarini: «Patologia non rilevabile dall’ecografia di routine»
Bonaventura Monfalcone-29.03.2018 Ospedale San Polo-Monfalcone-foto di Katia Bonaventura
Bonaventura Monfalcone-29.03.2018 Ospedale San Polo-Monfalcone-foto di Katia Bonaventura



I consulenti della Procura sono stati univoci: «La criticità che avrebbe dovuto far ipotizzare una gravidanza a rischio era diagnosticabile. Si sarebbe dovuto procedere ad un taglio cesareo programmato». L’udienza al Tribunale di Gorizia dove è in corso il processo per aborto colposo a carico di quattro ginecologhe del San Polo (Paola De Lazslo, Milena Zammitti, Giuliana Giorgis, Caterina Piva), ha dato spazio alle conclusioni raggiunte dai professionisti esperti nel ricostruire le fasi che hanno portato al decesso di Asia. I genitori della piccola sono rappresentati dall’avvocato Alessandro Ceresi.

Era la sera di mercoledì 8 ottobre 2014 quando Pamela Stok, assieme al marito Omar Marsilli, residenti a Monfalcone ma di Duino Aurisina, s’era presentata all’ospedale cittadino. La donna aveva perso le acque, frammiste a sangue. Un evento grave e improvviso, tanto che il medico di guardia aveva disposto un taglio cesareo di emergenza. Alle 23 la piccola era «nata morta». Era stata eseguita anche la rianimazione, durata 30 minuti. La consulente della Procura, dottoressa Alessandra Zambon, in aula, davanti al giudice monocratico Marcello Coppari, di fronte alle domande della pubblica accusa, rappresentata da Mary Mete, ha passato in rassegna i controlli ecografici che erano stati come di prassi eseguiti. Dal 29 settembre fino all’8 ottobre la gestante era stata sottoposta a sei monitoraggi. La teste ha parlato di una serie di “anomalie”, tra cui la placenta in posizione “sospetta”, nonché la «presenza del cordone ombelicale a livello dell’orifizio uterino interno». Situazione «confermata da almeno un altro controllo». Una gravidanza, dunque, «a rischio», secondo la consulente, per la quale «sarebbe stato corretto eseguire un parto cesareo programmato». L’altro consulente della Procura, dottor Sergio Lafisca, ha riferito della presa in consegna della placenta per l’esecuzione dell’esame specialistico. E ha ribadito, nell’ambito delle relative conclusioni: «Durante la gravidanza erano accertabili elementi che dovevano far ipotizzare un particolare rischio nel parto. Tuttavia, nonostante i rilievi confermati in altri accertamenti ecografici, la paziente è stata inviata al parto naturale, con la conseguenza che ha prodotto una lacerazione dei vasi sanguigni e un’imponente emorragia del feto».

L’avvocato Riccardo Cattarini, difensore delle ginecologhe, ha incalzato i consulenti. Il punto, in sostanza, per il legale, è «la vera causa dell’aborto spontaneo», quindi l’accertamento della specifica patologia che ha comportato la morte del feto, ossia l’inserzione velamentosa del funicolo. In pratica, i vasi della circolazione sanguigna tra madre e feto «non si presentavano protetti dal cordone ombelicale, pertanto a rischio di rottura e conseguente emorragia», come accaduto al momento della perdita delle acque della paziente. Secondo l’avvocato Cattarini questa patologia «non era riscontrabile dalle ecografie di routine, ma solo da un esame altamente specialistico, non considerato peraltro dalle linee guida italiane, ma solo da alcune società scientifiche internazionali», ha spiegato a margine dell’udienza. Per questo il legale in aula ha insistito sui contenuti delle linee guida italiane, invitando la consulente Zambon a indicare i passaggi attinenti alla specifica problematica sofferta dalla gestante monfalconese. La teste ha parlato delle linee guida internazionali di riferimento, la Royal College britannica e le linee guida canadesi, alle quali si rifanno anche le linee guida nazionali. Ma l’avvocato Cattarini ha ripetuto: «Queste linee guida nazionali le può leggere, le ha a disposizione?». Non erano a disposizione. Il legale s’è poi soffermato sulle conclusioni tratte nella relazione tecnica per chiedere al consulente della Procura, Lafisca: «Viene fatto riferimento al “personale sanitario” che avrebbe dovuto rilevare le anomalie durante i controlli. È una valutazione generica, vi siete preoccupati di stabilire i singoli ruoli degli operatori?».—



Riproduzione riservata © Il Piccolo