Ballottaggi, le sconfitte scuotono il Pd
ROMA. Brucia la sconfitta di Venezia e bruciano altrettanto i risultati di Arezzo, Nuoro, Macerata, Fermo per non parlare della Sicilia dove la debacle è totale . Il Pd di Matteo Renzi prova a mettere una pezza sui ballotttaggi ma per la prima volta dall’inizio dell’era renziana la parola sconfitta è pronunciata al Nazareno.
Dove ora è l’Italicum a fare paura. Perché, come dimostrano le prime analisi del voto fatte dal parlamentare Pd della minoranza che ha preso il posto del mitico Celso Ghini, il dirigente del Pci che azzeccava i risultati elettorali alla virgola, proiettando su scala nazionale il dato di domenica il Pd sta tornando, quando va bene, ai numeri della ditta bersaniana. Soprattutto non sa più attrarre, almeno per in questa fase, nè i voti in uscita del centrodestra nè quelli grillini. Anzi. Peggio. Il Pd , in questa situazione di terremoto economico e sociale è vissuto nel paese come «partito di sistema». Per questo nel ballottaggio le opposizioni si ricompattano «in radicale contrapposizione al governo e al Pd». In poche parole, archiviato forse per sempre il miraggio del partito della nazione, il Pd al secondo turno porta a rivotare il suo elettorato ma non riesce a conquistare nessun altra quota elettorale.
E’ un risveglio davvero amaro per i democratici. La tentazione di scaricare la sconfitta di Felice Casson a Venezia sulla minoranza del partito tentata nella nottata di domenica dal premier, svanisce molto presto, quando arriva il dato di Arezzo dove il 31enne Matteo Bracciali, pupillo della aretina Maria Elena Boschi, perde a sorpresa con Alessandro Ghinelli.
Il Pd salva per un soffiio Macerata e Lecco, riconquista al centrodestra Mantova e Trani ma perde in roccaforti come Nuoro, dove il centrosinistra governava da più di vent’anni, e perde anche a Macerata, prossima città della Cultura europea anche grazia al governo. Matteo Renzi ufficialmente non commenta la debacle. «Si va avanti solo se si ha il coraggio di fare riforme coraggiose, si può proseguire solo con la capacità di investire nel futuro e non vivere nei ricordi», dice dopo aver visto a palazzo Chigi il presidente messicano. I suoi collaboratori però ammettono la necessità di un ripensamento.
«Il cammino non è interrotto ma occorre registrare il passo» dice il vicesegretario dem, Debora Serracchiani. Sotto accusa ci sono le divisioni interne del Pd e c’è anche la consapevolezza che i rinnovamento non ha toccato fino in fondo i terrotiori. «Bisogna fare uno sforzo per radicare di più il Pd nei territori» aggiunge Enrico Rossi, il governatore della Toscana che ieri la Velina Rossa di Pasquale Laurito dava come prossimo futuro vicesegretario dem. «Questo risultato evidentemente segnala al di là del Partito democratico una disaffezione nuova, un nuovo passo brutto dopo quello delle Regionali, che segnala la disaffezione dei cittadini dai partiti e in questo il Pd è colpito», è l’analisi di Fabrizio Barca che sta facendo la mappatura dei circoli capitolini, dopo il commissariamento del partito seguito a Mafia capitale.
E proprio allo scandalo che ha colpito Roma attribuisce il flop elettorale Maurizio Martina. «E’ chiaro che alcune vicende di queste settimane non hanno fatto bene, sicuramente soprattutto il caso Roma», dice il ministro dell’Agricoltura. Ma la minoranza del Pd che qualcuno accusa di aver remato contro e addirittura di aver disertato le urne o sostenuto altri candidati, ora chiede chiarezza. «Una parte del nostro popolo ci ha abbandonato», dice Stefano Fassina. Sotto accusa c’è il Jobs act e c’è la riforma della scuola che ha alienato le simpatie di un mondo che ha sempre votato a sinistra. Rosy Bindi chiede un’analisi approfondita dei flussi di voto per capire da dove veniva il 41 per cento delle Europee.
I renziani ripetono come un mantra che serve «coraggio» e «unità» perché il rischio è che torni a vincere la destra «di Salvini e Berlusconi» «Divedersi è da Tafazzi», spiega Andrea Marcucci. Ma ora fa paura anche il M5S. E nel Pd si lavora a ritoccare l’Italicum.
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