«Balcani, l’energia sporca costa 8 miliardi all’anno»
BELGRADO. Fumi grigi che stagnano su valli e pianure, il tipico odore di carbone bruciato che ammorba l’aria, dall’autunno a primavera inoltrata. E persone che tossiscono, in città come in campagna. I Balcani sono malati.
Non più di ultranazionalismo, ma di un inquinamento che grava per miliardi di euro sulle casse degli Stati della regione. Lo ha confermato, fornendo per la prima volta numeri precisi, un rapporto della Health Environment Alliance (Heal), organizzazione no profit che analizza come i guasti prodotti dall’azione dell’uomo sull’ambiente abbiano conseguenze deleterie per la salute dei cittadini in Europa.
Balcani e carbone Lo studio di Heal, intitolato “La bolletta della salute non pagata – come le centrali a carbone fanno ammalare”, parte da un assunto. I Balcani occidentali - Serbia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Kosovo e Macedonia - producono la stragrande maggioranza della propria energia elettrica utilizzando le fonti sporche del carbone e della lignite. E giovandosi dell’obsoleta tecnologia di alcune fra le più inquinanti centrali ancora attive sul suolo europeo.
In una classifica compilata dall’Agenzia per l’ambiente dell’Unione europea, ai primi dieci posti fra gli impianti che in Europa emettono più anidride solforosa nell’aria ben sette sono localizzati nei Balcani. La palma di centrale a carbone più inquinante spetta a quella di Ugljevik, in Bosnia, sulle montagne tra Tuzla e Bijelina, responsabile della produzione di oltre 150 mila tonnellate di anidride solforosa all’anno.
Argento e bronzo vanno invece a due impianti in Serbia, la Nikola Tesla B (93mila tonnellate) e Kostolac B (89.100). Dopo la greca Amintaio, ecco poi la centrale di Kakanj (73mila tonnellate) in Bosnia e la macedone di Bitola (67mila). Fra le dieci centrali più pericolose, anche la serba Kostolac A e la bosniaca Tuzla.
Salute e casse pubbliche Secondo lo studio di Heal, ospitare nei Balcani le centrali più inquinanti d’Europa ha un prezzo altissimo in termini di danni alla salute dei cittadini. Ben otto miliardi e mezzo di euro all’anno ai cinque Paesi presi in considerazione, il 13% del loro Pil totale, ha calcolato BankWatch, un’altra organizzazione che si occupa di denunciare anche affari e investimenti poco trasparenti in Europa.
Quella cifra, spiega Heal, «è stata calcolata in base ai costi direttamente collegati all’inquinamento dell’aria causato dalla centrali elettriche a carbone, incluse morti premature, ricoveri ospedalieri per problemi respiratori e cardiovascolari, nuovi casi di bronchite cronica, ricorso diffuso e massiccio a farmaci e giorni di lavoro persi per problemi di salute», sempre provocati dai fumi.
In Serbia, Bosnia, Macedonia, Kosovo e Montenegro, ha rivelato lo studio di Heal, «i livelli di inquinanti nell’aria» sono in media «di due e volte e mezzo superiori ai vari limiti nazionali e di molto maggiori a quelli raccomandati dall’Organizzazione mondiale della sanità». Inquinamento delle centrali che, sommato a quello «delle industrie, ai trasporti e all’uso domestico» - moltissime famiglie ancora si scaldano bruciando carbone - «derubano i Paesi balcanici della loro salute e ricchezza», scrive Heal.
Ma la Serbia nega Sono dati terribili, quelli svelati da Heal. Ma le leadership politiche dei Paesi della regione continuano a fare finta di non capire, soprattutto perché – causa casse pubbliche vuote – puntare su altri tipi di energia è estremamente arduo.
Negli ultimi anni «abbiamo investito 200 milioni di euro per installare filtri elettrostatici, grazie a questi e ad altri progetti abbiamo livelli di inquinamento inferiori a quelli di Germania e Polonia», ha risposto allo studio di Heal il ministro serbo dell’Energia, Aleksandar Antic, contestando la validità dei dati. «La maggior parte dei governi della regione non sembra rendersi conto della gravità della situazione», ha ribattuto però Ioana Ciuta, energy coordinator di BankWatch. E mentre si dibatte sulla veridicità dei dati, i Balcani continuano a fare luce con l’energia sporca.
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