Balcani, le città che cambiano nome: «Basta retaggi comunisti»
BELGRADO. Dopo il crollo dell’Urss era un fatto relativamente comune. Ma quella di una città che cambia nome, nel cuore dell’Europa, è oggi notizia rara. Potrebbe però presto accadere in Serbia, dove una tranquilla cittadina del nord del Paese è sul punto di mutare la propria denominazione ufficiale. La cittadina in questione, 70 mila abitanti nel cuore della Vojvodina, dal 1946 risponde al nome di Zrenjanin, ma in futuro aspira a essere ribattezzata con il nome d’anteguerra, Petrovgrad, quello con cui fu chiamata per un breve periodo, dal 1935 al 1941, in onore del re di Jugoslavia. In precedenza, per secoli, la città era stata conosciuta come Beckerek e Veliki Beckerek; o ancora Nagybecskerek, in ungherese e Grossbetschkerek, in tedesco. Tanti nomi per una comunità ancora oggi multietnica.
Non si torna però a Beckerek, bensì al "monarchico" Petrovgrad. Che tutto vada in questa direzione è stato rivelato dalla Tv N1, che ha annunciato che l’amministrazione cittadina, a guida progressista, il partito di maggioranza nel Paese, ha inviato una richiesta al ministero dell’Amministrazione locale per sondare le intenzioni delle autorità centrali sulla reintroduzione della precedente denominazione. «Aspettiamo una risposta», ha confermato alla N1 il sindaco di Zrenjanin, Cedomir Janjić, assicurando fra l’altro che l’amministrazione «non ha fretta».
Il ministero coinvolto ha successivamente cercato di abbozzare e di soffocare polemiche già aperte facendo sapere che non c’è ancora una richiesta ufficiale e che la città ha per ora soltanto chiesto un’opinione. Le polemiche sono però già aperte, si diceva, perché esiste la possibilità concreta a Zrenjanin di perdere l’eredità di un nome importante. La località si chiama infatti così per ricordare Zarko Zrenjanin, partigiano ed eroe nazionale in Jugoslavia, onorato ai tempi di Tito non solo con l’intitolazione di una città ma anche con l’emissione di francobolli e la costruzione di monumenti. Onorato a buon diritto, perché il “generale rosso”, così fu chiamato dai tedeschi, fu una delle anime della lotta di Liberazione, prima di essere ucciso dai nazisti, nel 1942. Fu in seguito celebrato a liberazione avvenuta.
Ma quei tempi sono lontani. «Non esiste una città nella ex Jugoslavia, ma neppure nell’ex Unione sovietica, che abbia mantenuto un nome comunista», ha affermato Budimir Jovanović, fra i fautori del cambio di nome.
Cambio di nome che, non solo nei Balcani, non è in effetti una novità. A primeggiare, nella gara della “damnatio memoriae”, c’è sicuramente l’ex Urss, con gli esempi più noti di Stalingrado diventata Volgograd e Leningrado-San Pietroburgo. Senza dimenticare poi i casi più noti nell’ex Jugoslavia: Titograd, alla quale è stato restituito il nome di Podgorica nel 1992; e Ivangrad, così denominata in onore di un altro partigiano, che ha ripreso la vecchia intitolazione di Berane. E poi ancora la slovena Velenje e le serbe Uzice e Vrbas. Che negli anni persero per strada l’aggettivo “di Tito”.
Ma c’è anche chi non augura lo stesso fato a Zrenjanin. Sette associazioni locali hanno richiesto l’altro ieri un referendum, come accadde nel 1992, per consultare la cittadinanza prima del cambio di nome, chiedendo che si difendano le «tradizioni antifasciste». Un’altra Ong le aveva anticipate mercoledì, lanciando una petizione online per chiedere che «Zrenjanin rimanga Zrenjanin». E raccogliendo oltre 2.400 firme. E a esporsi è stata anche la “Subnor Vojvodine i Srbije”, l’omologo locale dell’Anci, che ha condannato l’episodio Zrenjanin, ma ha ricordato anche che non è un’eccezione: in tutti i Balcani «si mutano i nomi delle strade, si rimuovono i busti degli antifascisti», ha fatto notare.
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