Automazione e robotica, il futuro è adesso

«Automazione e robotica sono due facce della stessa medaglia, si tende a volte in modo semplificatorio ad assimilare l’automazione alla robotica, in realtà l’automazione è un fattore abilitante, nella robotica come in svariati altri settori tecnologici»
Parla Thomas Parisini, ordinario di Automatica dal 2001 al dipartimento di Ingegneria e Architettura dell’Università di Trieste con cattedra finanziata dal Gruppo Danieli. Si discute di dove l’automazione e la robotica ci porteranno nell’immediato futuro: forse non automobili volanti o assistenti robot, ma progressi comunque sorprendenti.
«Certo, la robotica cattura l’immaginazione e la fantasia fin dai tempi di Norbert Wiener e la nascita della cibernetica, perché tende a sostituire l’uomo e quindi affascina e nel contempo preoccupa. L’automazione però è un qualcosa di più generale, che fa osmosi in molteplici settori. E’ una disciplina con la quale si cerca di rendere sistemi industriali, ambientali, energetici il più possibile autonomi, spostando l’azione dell’uomo ad un livello più alto.»
Un esempio concreto?
«Al di là dell’aspirapolvere che già gira per casa automaticamente, pensi al progetto del pancreas artificiale, è una delle fattispecie più semplici per capire cos’è un sistema automatico e il giorno che esisterà, ed esisterà davvero glielo garantisco, cambierà la vita di milioni di persone, diabetici soprattutto, e cambierà l’economia, per l’impatto che avrà sui sistemi sanitari, il welfare e così via».
Qual è il livello di ricerca sull’automazione a Trieste?
«Ritengo che l’Università di Trieste abbia una buona qualità nel campo dell’automazione. Lei deve tener conto che Trieste non è propriamente una città tecnologica, immersa in un tessuto industriale, è una città di servizi più che industria, ma basta andare oltre Monfalcone e queste cose cambiano. E poi è interessante ricordare che a portarmi a Trieste fu la vincita del concorso per la cattedra convenzionata con un’importante gruppo industriale, la Danieli, che decise che l’automazione era qualcosa su cui investire in modo significativo. È stato il territorio a volere questa cattedra, e da allora, ormai il lontano 2001, di progetti, industriali tout court, ma anche europei, regionali e nazionali ne abbiamo fatti, con finanziamenti che hanno raggiunto dal 2001 ad oggi un milione e mezzo di euro solo per il nostro gruppo di lavoro. E siccome tale impegno finanziario è durato nel tempo e continua ancora oggi, possiamo certamente concludere che l’attività ha avuto un impatto sugli stakeholder».
Cosa studiate in particolare?
«Il virtual commissioning ad esempio. Lavoriamo con Danieli, ma anche con altri gruppi tra cui ABB e probabilmente lavoreremo anche con Honeywell negli USA. Trattiamo anche una parte della robotica, quella delle cosiddette interfacce aptiche, che permettono ad esempio di trasmettere sul joystick di comando di un manipolatore robotico le sensazioni di forza che proverebbero delle dita umane. Un’altra attività di studio è la visione artificiale per l’automazione, e la terza applicazione sui cui siamo molto attivi è la cosiddetta diagnostica di processo: costruire degli algoritmi, delle metodologie che sulla base dei dati che rilevano in una macchina o un impianto, capiscono che qualcosa non sta funzionando a dovere prima che il guasto si verifichi.»
Ha ragione Bill Gates quando dice che dobbiamo temere l’avvento della robotica?
«È un po’ curioso che lo dica lui. Bill Gates non ha fatto altro che studiare strumenti software con cui diverse operazioni svolte in passato dall’uomo sono ora demandate ai computer. Io ritengo che effettivamente il problema ci possa essere, ma solo ad una prima lettura superficiale. È ovvio che se io voglio sostituire un operatore umano con un oggetto che funziona in modo automatico, questo perde il lavoro. È tuttavia una lettura semplicistica. Io mi sento di dire che l’automazione insieme ad altre discipline permetterà all’essere umano di passare da soggetto reattivo a soggetto attivo, riuscendo davvero a elevarsi, migliorare la qualità di vita, lavorare meno e meglio e, discorso importante, consumando meno risorse. Citerei un numero: in un’industria automatica manifatturiera americana, per ogni posto costruito oggi, se ne producono 2.2 in altri settori. Un fattore moltiplicativo importante. Anche l’Italia deve ricominciare a investire nel manifatturiero con sistemi di automazione di nuova generazione. Diminuiranno i posti di lavoro di un certo tipo, ne aumenteranno altri. Io vedo grandi opportunità, non rischi.»
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