Austria, la figlia di Haider in corsa alle europee
UDINE. Il nome di Haider riappare in vista delle elezioni europee di maggio. Non come accadde in quelle regionali del 2009, pochi mesi dopo la sua tragica scomparsa, quando il suo partito se ne servì nella campagna elettorale stampandolo su tutti i manifesti. Allora si disse che, per la prima volta nella storia, i cittadini erano stato chiamati a eleggere un morto. No, questa volta a riportare il nome di Haider sulla scena politica è la figlia primogenita Ulrike, 37 anni, che si presenta candidata al Parlamento europeo come capolista del Bzö, il partito che era stato di suo padre. Le probabilità di successo sono pressoché inesistenti.
Il Bzö, nei suoi tempi migliori, poteva contare sul 10% a livello nazionale e addirittura sul 45% in Carinzia, dove era padrone della scena. Poi i suoi principali esponenti, tradendo il mandato del loro fondatore passato a miglior vita, erano stati risucchiati nell’altro partito storico della destra austriaca, l’Fpö, guidato da Heinz-Christian Strache.
Il Bzö, con i pochi fedelissimi rimasti, era crollato nei consensi, tanto da scomparire dal Parlamento alle ultime elezioni e da tutti i Länder, fuorché dalla Carinzia (dov’è presente con il 6,4% e due soli seggi).
Viste le premesse, l’impresa a cui si accinge ora Ulrike appare disperata. In base alla legge austriaca per le elezioni europee la soglia da superare è quella del 4%, ma in realtà, siccome i seggi vengono assegnati alle singole liste con il metodo D’Hondt (che non stiamo qui a spiegare, ma che chi si è occupato di elezioni comunali in Italia ben conosce, perché è lo stesso), la sicurezza di un seggio a Bruxelles esiste soltanto se i voti raggiungono il 5,27%. Per Ulrike, dunque, le probabilità di farcela sono molto scarse. Anche perché la candidatura richiede la raccolta di 2600 firme di presentazione, che non è un’impresa semplice, avendo alle spalle un partito ormai in decomposizione.
Ulrike Haider, tuttavia, vuole tentare o è stata convinta a tentare. In un’intervista alla “Kronen Zeitung” ha motivato così la sua scelta: «Io appartengo a una generazione europea, ho studiato a Parigi e vedo nell’Europa il nostro futuro». Non è esattamente ciò che pensava suo padre, euroscettico e perennemente in conflitto con «i burocrati di Bruxelles», ma la figlia evidentemente ha maturato altre convinzioni. Non solo perché ha sposato l’italiano Paolo Quercia, politologo, da cui ha avuto un figlio, Giorgio-Jörg, che ora ha due anni e mezzo, ma perché le sue esperienze di studi e di vita, tra Roma e l’Austria, l’hanno profondamente cambiata. Si dice «profondamente europea», anche se favorevole all’abbandono dell’euro.
Ulrike si è formata all’Università di Vienna, dove ha conseguito anche un dottorato di ricerca in diritto pubblico europeo, proseguendo gli studi alle università di Napoli e di Catania e conseguendo una seconda laurea in scienze politiche (dopo la prima in giurisprudenza). A Catania ha conseguito un secondo dottorato in cittadinanza europea. È autrice di diverse pubblicazioni di diritto pubblico e costituzionale italiano e comparato, in particolare sui diritti fondamentali delle minoranze nazionali. Attualmente è ricercatrice di diritto costituzionale all’università Marconi di Roma, dove insegna diritto costituzionale. È inoltre titolare del corso di “tedesco giuridico” all’Istituto austriaco di Roma.
Che il nome di suo padre attualmente sia chiamato in causa in tanti scandali di corruzione politica e in particolare nel fallimento Hypo Bank, il più grande e devastante disastro finanziario in tutta la storia dell’Austria, non costituirebbe per lei un handicap – ha dichiarato – ma piuttosto l’occasione per chiarire ricostruzioni distorte della recente storia politica austriaca. A cominciare dai governi del Land Carinzia che hanno gestito la holding bancaria, governi e di cui facevano parte non solo suo padre, ma anche esponenti dell’Spö e dell’Övp, che quindi ne avevano condiviso le responsabilità.
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