Aumento dei prezzi, Trieste al top in Italia

Una famiglia di quattro persone spende in media 322 euro in più all’anno. Questo l’effetto del +0,8% calcolato dall’Istat nel mese di novembre
Un banco di frutta
Un banco di frutta

TRIESTE L’inflazione vola a Trieste più che nel resto d’Italia. Se nel mondo dei numeri dell’Istat si scrive “zero virgola”, nel mondo reale si legge: 322 euro in meno a fine anno per le famiglie triestine. Soldi spesi a causa di un aumento dei prezzi dello 0,8%, appunto. Una percentuale, questa, che da un lato comporta un aumento del costo della vita, dall’altro pone il capoluogo giuliano in testa alla classifica delle città più care d’Italia. Trieste infatti ha fatto segnare il record dell’inflazione tra tutti i capoluoghi di regione e provincia autonoma, come ha evidenziato l’istituto nazionale di statistica nelle tabelle sull’indice dei prezzi al consumo Nic pubblicate a novembre. Guidano la graduatoria delle città “più care” d’Italia dunque Trieste (con l’incremento più elevato, da +0,4% di ottobre a +0,8%), Bolzano, Firenze, Venezia e Bologna, mentre in importanti metropoli come Torino, Milano e Roma permane il segno negativo.

 

Il carrello triestino esce dalla black list della spesa
Clienti in un supermercato

 

Come ha calcolato l’Unione Nazionale Consumatori, questa percentuale si traduce in un aggravio di spesa, per una famiglia di quattro persone, pari a 322 euro su base annua. Nel capoluogo piemontese, per intenderci, l’abbassamento dei prezzi dello 0,2% consente ad una famiglia “tradizionale” di risparmiare 95 euro.

L’opinione comune vuole che un aumento dell’inflazione sia direttamente collegato ad una ripresa dell’economia, avendo le famiglie più soldi da spendere in beni e servizi. Ma è davvero così? C’è da essere ottimisti?

«A Trieste la riduzione del potere d’acquisto potrebbe avere una causa positiva, ovvero l’aumento della domanda», riflette Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori. «Ma attenzione: l’equazione non è così scontata. Sono tanti i fattori in gioco». Che questa relazione sia controversa lo conferma anche l’economista Fiorella Kostoris, cresciuta proprio a Trieste. «Non è vero che quando l’inflazione sale allora la domanda è aumentata. Si pensi al periodo degli shock petroliferi, quando l’inflazione saliva ma la domanda scendeva».

L’unica cosa che si sente di affermare con certezza Anna Buchhofer Brivitello, responsabile territoriale di Adiconsum, è che «i parametri lasciano il tempo che trovano, ma esiste una difficoltà reale delle persone qui che non riescono a pagare le bollette dell’energia o gli affitti dell’Ater. Gli aumenti generici non sono livellati da pensioni e stipendi, che rimangono sempre inalterati. Anzi, a volte il posto di lavoro viene meno. Questo è quello che mi passa davanti agli occhi tutti i giorni».

In regione i prezzi sono in aumento dello 0,2%. Su base nazionale, l’inflazione acquisita per il 2016 risulta pari a -0,2% (era -0,1 a ottobre). L’economia nazionale non riesce a tenere tutti quanti sullo stesso livello, secondo Angelo d’Adamo, presidente della Federconsumatori Trieste, che si chiede: «In città siamo al decimo posto nella classifica della qualità della vita, e ora scopriamo che vivere ci costerà 322 euro in più. Si sta meglio in una città in deflazione, allora? Per capire se si tratta di ripresa o di malessere c’è bisogno di un’analisi più approfondita».

Una sola cosa al momento appare certa: tra tutte le categorie considerate, le spese per la salute e per i servizi sanitari sono quelle che hanno avuto variazioni di prezzi al consumo maggiori. Lo si capisce a colpo d’occhio scorrendo le elaborazioni dell’Ufficio Statistica del Comune nei mesi di novembre (+6,3% rispetto al corrispondente mese dell’anno precedente) e di agosto (+6,4%), il periodo immediatamente successivo a quello delle rilevazioni Istat. Quello dei servizi sanitari è un settore cardine in una città dal forte grado di invecchiamento. Una crescita netta, anche se meno contenuta, la fanno registrare bevande alcoliche e tabacchi (+2,3% rispetto all’anno prima), abbigliamento e calzature (+2,9%) e i servizi ricettivi e ristorazione (+2,9%), a conferma che la vocazione turistica porta con sé un’inevitabile aumento dei prezzi.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo