Assistenza negata e dosi di calmante fuori prescrizione

Nuovi particolari sui maltrattamenti cui sono stati vittima gli anziani ospiti della casa albergo “Contessa Beretta”
Di Francesco Fain
Bumbaca Gorizia 05.10.2015 Farra Casa riposo Beretta Fotografia di Pierluigi Bumbaca
Bumbaca Gorizia 05.10.2015 Farra Casa riposo Beretta Fotografia di Pierluigi Bumbaca

Non solo si vedevano rifiutare cure e assistenza quando avevano bisogno: in più di un’occasione erano stati somministrati loro “in orario serale e autonomamente” anche farmaci calmanti in quantità superiori a quelle prescritte dal medico. Vittime, loro malgrado, gli anziani ospiti della casa albergo di Farra d’Isonzo “Contessa Beretta” al centro del clamoroso caso di presunti maltrattamenti, deflagrato tre settimane fa.

Nuovi particolari emergono dall’Ordinanza sulla richiesta di applicazione di misure cautelari che vede indagate per maltrattamenti (articolo 572 del codice penale) la romena Gina Sorescu, la russa Tamara Shkrebti e la moldava Ecaterina Barbos. A condurre l’indagine, come si ricorderà, erano stati i carabinieri del Nucleo investigativo di Gorizia con la collaborazione dei Nas di Udine che avevano eseguito un’Ordinanza di applicazione della misura di divieto di dimora ai danni delle tre operatrici, emessa dal giudice per le indagini preliminari Paola Santangelo.

L’operazione, denominata “Contessa” dal nome della struttura intitolata all’omonima Fondazione, era stata avviata ai primi di settembre ed era nata da una specifica attività informativa dei carabinieri. Il quadro emerso era quello di una storiaccia: un quadro a dir poco sconcertante che evidenziò i metodi violenti e vessatori adottati nei confronti di alcuni (si parla di almeno sette persone, ndr) dei 13 pazienti ricoverati da parte delle tre operatrici sanitarie.

Nell’Ordinanza vengono citati diversi episodi. Ad un certo punto, una delle tre operatrici invertì l’ordine di somministrazione dei farmaci, violando la prescrizione stabilita dal medico. Tutto ciò con le aggravanti, secondo l’accusa, di aver agito per futili motivi; con crudeltà; approfittando di circostanze di tempo, di luogo e connessa all’età degli ospiti della struttura, tali da ostacolare la privata difesa, atteso che nella struttura era presente un’unica operatrice sanitaria per ciascuna fascia oraria.

Dalla lettura delle trascrizioni emerge, inoltre, che non solo vi era, da parte delle tre indagate, l’uso disinvolto di epiteti offensivi ma si evidenziavano anche altre condotte. Ad esempio, un’anziana ospite fu lasciata per due notti su una sedia senza alcun cambio di pannolone. «Non si può non sottolineare - affermano gli inquirenti - che, sebbene l’attività di ascolto sia relativa soltanto a pochi giorni, sono state percepite reiterate condotte offensive e aggressive che, per la naturalezza con le quali vengono effettuate, appaiono la manifestazione di un comportamento abituale e costante».

Non solo. Le operatrici, stando alle tesi dell’accusa, cercavano di limitare al massimo i loro sforzi, costringendo con minacce e vessazioni, i degenti ad arrangiarsi da soli; a dare meno fastidio possibile ed esponendoli, in questo modo, ad un maggior rischio di cadute. «Va rimarcato - evidenziano ancora gli inquirenti - che le persone offese sono anziane, vivono in una comunità ristretta e la notte erano assistite da un solo operatore nei confronti del quale non hanno strumenti per difendersi».

«Peraltro, appare evidente che la condotta tenuta nei confronti dei degenti più bisognosi e meno obbedienti, comunque è del tutto idonea a produrre un effetto intimidatorio e persuasivo sull’intera comunità».

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