Assenteisti della Soprintendenza: non decolla il maxiprocesso

Alla sbarra 31 dipendenti: falsa partenza. Tecnicismi e poche date “utili” per fare presto. Udienza intermedia il 17 dicembre, rinviati al 4 marzo i “testi” citati dal pm che dovevano essere già sentiti
Una dipendente della Soprintendenza mentre torna al lavoro dopo aver fatto la spesa
Una dipendente della Soprintendenza mentre torna al lavoro dopo aver fatto la spesa

Quando la figura dell’assenteista (o meglio dell’assente) davanti agli occhi dei cittadini rischia di farla lo Stato, qui inteso come responsabile del sistema giudiziario. I primi testimoni del processo per truffa (allo Stato) e falso a carico di 31 dipendenti della Soprintendenza, rinviati appunto a giudizio per assenteismo, dovevano essere sentiti ieri, nella prima “vera” udienza, alla quale erano d’altronde stati convocati come “testi”. A ora di pranzo sono stati congedati dopo aver aspettato invano fuori dall’aula, nel corso della mattinata, di essere chiamati. A metà di loro - quattro, cui il pubblico ministero Massimo De Bortoli ha deciso di aggiungerne un quinto non compreso nella lista di partenza (trattasi anzitutto di investigatori della Tributaria) - è stato così dato un nuovo appuntamento. A mercoledì 4 marzo 2015, ore 9. Fra tre mesi.

Strano a dirsi ma, tecnicismi a parte, è stato proprio il riaggiornamento del processo uno dei passaggi certamente più significativi dell’udienza di ieri. Due ore abbondanti alla presenza di un “plotone” di avvocati, tra i più considerati e riconosciuti sulla piazza. Il giudice penale monocratico Massimo Tomassini - che proprio ieri in apertura ha disposto l’accorpamento di due distinti procedimenti ereditati da due precedenti udienze di smistamento tenute dai suoi colleghi Francesco Antoni per 26 imputati e e Giorgio Nicoli per altri cinque - ha accolto in effetti le richieste avanzate dai difensori dei 31 presunti assenteisti di potersi veder concedere, com’è previsto in questi casi, un “termine” al fine di approfondire la documentazione d’indagine prodotta dal pm e preparare di conseguenza l’eventuale “controesame” agli stessi primi testimoni, tutti peraltro citati dall’accusa. «Un conto è conoscere un fascicolo in astratto, nei suoi termini generali, e un altro è valutare ciò che al suo interno può avere valenza probatoria», ha motivato l’avvocato Giovanni Borgna, il primo dei legali a sollevare la questione della necessità di un “termine”, al quale si sono accodati i colleghi.

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«Chiedo a tutti uno sforzo di buona volontà sennò questo processo rischiamo di non finirlo più», è stata la precisazione fatta dal giudice Tomassini nell’accogliere tali istanze. «Ritengo - ha aggiunto - che una settimana può essere un termine congruo (per la valutazione della documentazione, ndr), successivamente dovremo iniziare a procedere con cadenza tempestiva». Posto che il giudice Tomassini “riceve” al mercoledì, nel senso che le sue udienze sono previste in quel giorno della settimana, il primo appuntamento “naturale” per tirare le fila doveva essere il 3 dicembre. Ma è qui che sono sorti i problemi. Tra impegni di calendario già fissati da pm e avvocati la prima data utile è diventata il 17 dicembre: solo allora il processo potrà riprendere e vivere l’esame delle “controdeduzioni” tra accusa e difesa. A quel punto l’avvio dell’esame dei “testi”, sulla carta, andava ”blindato” dopo le feste di Natale. «Facciamo il 14 gennaio?». Magari. Tra l’impedimento di uno, quello di un altro e pure di un terzo (in un caso anche il giudice aveva un impegno concomitante) il primo “mercoledì “buono” è diventato, tra sospiri e qualche sorriso amaro, il 4 marzo.

Il secondo passaggio significativo di quest’udienza introduttiva - il primo, a rigor di cronologia - è stato quello che ha portato, in apertura di mattinata, a una sospensione per una camera di consiglio nella quale il giudice Tomassini è stato chiamato a decidere a proposito dell’eccezione preliminare sollevata dall’avvocato Riccardo Seibold sull’«indeterminatezza», tecnicamente parlando, dell’imputazione. Cosa che, se fosse stata accolta dal giudice, avrebbe comportato, come chiedeva lo stesso Seibold, «la nullità del procedimento». Tutto ruota - come ha poi insistito anche l’avvocato Marcello Perna - sulla qualifica di atto pubblico o meno delle buste paga: «Nei documenti del pm non viene indicato alcun pubblico ufficiale autore del presunto falso». Eccezione respinta: «La corretta qualifica - così il giudice dopo la camera di consiglio - sarà accertata nel corso del procedimento. Il pm ha più che compiutamente descritto le contestazioni e il diritto di difesa può essere pienamente esercitato».

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Perna difende sei imputati: Claudio Barberi, Alessandro Bruni, Eliano Concina, Annalisa De Comelli, Marcello Franco e Doriana Mascia. Seibold ne assiste due, Robert Ruta e Isabella Sidoti, e Borgna uno: Maria Chiara Cadore. Cinque quindi sono rappresentati dall’avvocato Paolo Pacileo: Maurizio Anselmi, Liala Bergamas, Patrizia Berini, Tiziana Brecevich e Patrizia Giacone. Altrettanti sono tutelati sia da Alessandro Giadrossi - Giusto Almerigogna, Mauro Bottillo, Marina Bronzin, Stefano Bruni e Alessandra Vogrini - che da Maria Genovese: Brunella Cimadori, Cristina Gioachin, Ruben Levi, Giuliano Pross e Fabiana Vio. Un assistito a testa infine per gli avvocati Davide Benvegnù sostituito ieri da Donatella Majer (Giorgio Amoroso), Luca Maria Ferrucci (Fiorella Benco), Ferdinando Ambrosiano (Giorgio Nicotera), Gabrio Laurini (Fabio Niero), Corrado Calacione (Ada Ramani), Daniela Moreale (Marino Sain) e Guido Fabbretti, che difende Chiara Milella. L’unica, dei 31 imputati, presenti ieri in aula.

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