Assassini in fuga in Bosnia con l’auto della vittima

La coppia ricercata per la morte di Menicali ha varcato la sera stessa del delitto la frontiera di Slavonsky Brod. La Mercedes in uno sfasciacarrozze di Banja Luka

TRIESTE. Slavonsky Brod in Croazia, Duboj e Banja Luka in Bosnia. Passa anche attraverso queste tre città dell’ex Jugoslavia la soluzione del giallo della morte di Roberto Menicali, il promotore finanziario originario di Città della Pieve ucciso con ogni probabilità il 19 giugno scorso, data della sua scomparsa, e ritrovato cadavere venerdì mattina tra i boschi sopra Devetachi.

In tutte e tre le località d’oltreconfine, infatti, hanno lasciato tracce pesanti i presunti assassini del consulente: i due bosniaci sulla trentina - un uomo, Beganovic, e una donna -, attualmente ricercati per omicidio sia dalla Mobile triestina sia dalla polizia di Nova Gorica. Ed è lì, quindi, che l’Interpol, sollecitata dalle rogatorie partite dall’Italia e dalla Slovenia, sta concentrando ora le proprie attenzioni.

A Slavonsky Brod la coppia sospettata di aver freddato l’ex direttore di banca di 58 anni ha varcato la frontiera croato-bosniaca attorno alle 20 del 19 giugno, vale a dire circa 7 ore dopo l’ipotizzata aggressione a Menicali, avvenuta presubilmente tra Gorizia e Nova Gorica e collocata temporalmente tra le 12.30 e le 13.40. Che i due ricercati abbiano oltrepassato il confine proprio in quella città e in quell’orario è testimoniato dai dati immagazzinati durante i controlli alla frontiera. Chi si sposta dalla Croazia alla Bosnia, infatti, deve consegnare il passaporto che viene poi scannerizzato e lascia quindi una traccia indelebile. Come quella che Beganovic e l’accompagnatrice hanno lasciato appunto la sera stessa dell’omicidio. Segno, secondo gli investigatori, che la fuga dall’Italia e il rientro in patria sono avvenuti subito dopo il presunto tentativo di rapina finito male. E non con un mezzo qualsiasi, ma a bordo proprio della Mercedes che Menicali avrebbe voluto vender loro la mattina stessa.

Il tragitto compiuto successivamente da quell’auto ha portato gli investigatori fino a Banja Luka, la seconda più grande città della Bosnia Erzegovina. È lì, nel parcheggio di uno sfasciacarrozze, che è stata infatti ritrovata la station wagon sulla quale il consulente ha compiuto il suo ultimo viaggio. Una circostanza che spinge a pensare che gli aggressori si siano voluti sbarazzare rapidamente di una macchina diventata ormai troppo “scomoda”. Come scomodo, evidentemente, era anche il cellulare di Menicali. Il telefonino, a quanto si è appreso, è stato rintracciato nella città di Duboj (come Banja Luka inserita nel territorio della Repubblica serba di Bosnia), e risulta attualmente abbinato ad una scheda intestata ad una ditta che lì ha la propria sede. Ditta a cui, evidentemente, l’apparecchio di Menicali sarebbe stato venduto da Beganovic o dall’amica.

A mancare all’appello, invece, è un’altra tessera del puzzle: la carta di credito del promotore ucciso, quella da lui usata per pagare la benzina al distributore di Sesana e, successivamente, impiegata per i tre tentati, e falliti, prelievi al bancomat. Il primo, attorno alle 15 del giorno dell’omicidio, nella zona di Nova Gorica, gli altri due un paio d’ore più tardi a Novo Mesto, al confine la con la Croazia.

Fin qui gli spostamenti compiuti nei giorni scorsi dai due bosniaci che, dopo il clamore suscitato dal ritrovamento del cadavere, potrebbero però aver già abbandonato il paese, spostandosi magari nel vicino Montenegro. Di certo non hanno fatto ritorno in Italia, né a Trieste né in Friuli, dove pare si recassero con una certa frequenza. Entrambi, infatti, avevano svolto lì in passato anche dei lavori stagionali: lei come cameriera nelle località balneari, lui come bracciante nell’agricoltura.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo