Ass1: «Un dramma, nessuna indifferenza»
«Non vi è indifferenza. Non vi è abbandono. E non vi è incapacità. L’atto drammatico del giovane afghano che si è tolto la vita è figlio di un forte disagio. Un disturbo che per sei anni hanno fronteggiato in tanti, il giudice tutelare, l’amministratore di sostegno, i servizi sociali comunali, il Centro di salute mentale, la magistratura penale, le forze dell’ordine, le cooperative sociali». L’Azienda sanitaria ha discusso il caso del ragazzo afghano che si è buttato in mare, in pieno centro città, sulle Rive. In una lunga nota a firma del direttore Nicola Delli Quadri spiega alla città «che si interroga ed è turbata», che non è il caso di cercare «una rapida spiegazione e qualche comoda interpretazione». Nè di pensare che «con più sensibilità e attenzione tutto sia risolvibile».
È il secondo giovane afghano che nel giro di pochi mesi a Trieste si toglie la vita. «C’è il disagio dei migranti - dice Delli Quadri -, reso ancora più profondo da un vissuto tragico, dalle barriere linguistiche, da diverse culture, e religioni». Ma non sono in tanti a lavorare proprio per proteggere i casi di più profonda difficoltà?
All’Azienda sanitaria si susseguono riunioni e gruppi di studio. È in corso di revisione la legge regionale sui migranti, che la giunta Tondo di centrodestra aveva depotenziato rispetto alle maggiori garanzie offerte dalla giunta Illy di centrosinistra. In quelle che il direttore del Dipartimento di salute mentale, Roberto Mezzina, chiama «le nuove sfide per istituzioni e organizzazioni in una Trieste che sta profondamente cambiando», sono coinvolti il Comune, l’Ics, la Caritas, il ministero dell’Interno. Cambiamenti sono necessari. L’insuccesso lo dimostra, nonostante l’alacre lavoro di tanti.
«Il lavoro dei nostri servizi è diventato sempre più consistente sui migranti - afferma Mezzina -, al Centro di salute mentale della Maddalena che seguiva il giovane afghano il 6% degli utenti è immigrato, c’è un ampio dispiegamento di forze e i servizi sono sempre allertati, esistono molte situazioni di alta complessità. Ci sono persone che si portano dietro ferite profonde, il “determinante sociale” è un fattore forte. Il padre del giovane era stato ucciso nel suo paese, e a occuparsi di lui era la famiglia allargata...».
Ma lasciare il proprio paese violento, i terrori, i dolori, e approdare in un paese nuovo per salvarsi allenta, oppure acuisce, il disastro interiore? Ci immaginiamo che lo allevi. E invece non è vero. Prosegue Mezzina: «Lasciare “casa” a causa di disastri umanitari è uno shock, uno stress ulteriore. Si entra non solo in nuovi contesti culturali e linguistici, ma anche in nuove regole sociali. Il malessere si esprime con un certo tipo di condotta. Che poi magari viene sanzionata. Perché quella è la legge. L’”anomia sociale” - prosegue Mezzina citando il sociologo Durkheim -, e cioé il ritrovarsi soli, nell’allentamento di tutti i propri legami sociali, culturali, di relazione è uno dei fattori che la sociologia riconosce come fattore di rischio fortissimo, un potente fattore di induzione al suicidio».
Quando uno è solo, spaventato e “alieno” in un paese diverso, tende a chiudersi nella propria “nicchia sociale”, nel gruppo dei propri simili. Che è rassicurante. «Ma quello stesso gruppo ha problemi di relazione e integrazione, ha la sua sofferenza, e dunque include fin quando è possibile. Quando uno dei suoi elementi diventa troppo difficile il gruppo stesso non regge ulteriori stress ed espelle, quasi per autodifesa». Così è successo al giovane afghano, spaccato dentro? «Il gruppo ha retto finché ha potuto - racconta Mezzina -, poi sono intervenuti i servizi sociali, l’inserimento in una comunità». Ma anche la sanzione giudiziaria, la regola, la pena. «Che non aiuta» dice lo psichiatra.
Nello scontro fra regole straniere e solitudini atroci anche lo spazio per centomila servizi di accudimento è diventato stretto per l’afghano, e poi si è chiuso. E poi si è chiuso il mare sul corpo del ragazzo “impazzito”. E si apre la consapevolezza che la “sfida” deve essere ancora vinta.
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