Asilo, mensa, palestra e ristorante sul tetto nei palazzi regionali dentro Porto Vecchio a Trieste
Lo studio Femia diffonde il modellino del complesso nell’antico scalo. Dopo le autorizzazioni, partirà la gara d’appalto da 104 milioni di euro
TRIESTE Prende forma il nuovo quartier generale della Regione in Porto Vecchio: non solo uffici, ma un comprensorio pensato per accogliere servizi collaterali come un asilo aziendale, una palestra e un ristorante. Se per vedere restaurati gli edifici che andranno a ospitare 1.194 dipendenti pubblici bisognerà attendere fino al 2026, ora è possibile andare con la mente a quella data grazie alle prime immagini in miniatura del futuro complesso.
Il modellino
A sollecitare la fantasia dei curiosi sono le fotografie di un modellino, rese note e diffuse da Ateliers Alfonso Femia, lo studio di architettura a capo della cordata chiamata a disegnare il profilo dei nuovi uffici regionali. Proprio il modellino consente per la prima volta di farsi un’idea complessiva dell’area così come apparirà al termine dei lavori, gettando al contempo lo sguardo su alcuni dettagli significativi.
L’operazione
Ricapitoliamo le linee fondamentali dell’operazione. Gli immobili interessati dal restauro – che si inserisce nella più ampia riqualificazione in corso di Porto Vecchio – sono quattro: l’edificio 118, i magazzini 7 e 10 e l’hangar 21. In tutto, una superficie lorda di 45 mila metri quadrati e un volume di 153 mila metri cubi, che dovranno soddisfare un fabbisogno di spazi stimato dalla Regione in 30 mila metri quadrati.
A stendere il progetto – dopo essersi aggiudicato l’incarico per una cifra pari a circa 6,7 milioni di euro – è un raggruppamento al cui vertice figura il nome di Alfonso Femia, architetto calabrese di fama internazionale e già protagonista altrove di importanti opere di rigenerazione urbana. Fra gli altri soggetti che collaborano con Femia, ricordiamo l’architetto triestino Giovanni Damiani (unica realtà triestina), oltre alle milanesi Derna Italia, Tekser, Starching e la genovese Maelle Restauri.
Verso il 2026
A che punto ci si trova? Risponde lo stesso Damiani: «Il progetto ha trovato una sua quadra, siamo in una fase di autorizzazioni, dopodiché sarà presentato». L’orizzonte, come detto, guarda al 2026 e il valore dell’appalto integrato che verrà a breve messo in gara è di 104 milioni di euro. Ricordiamo un ultimo aspetto rilevante, che lo stesso Femia aveva rimarcato come uno degli elementi che lo avevano convinto a battersi per ottenere l’incarico: il gruppo a capo del progetto avrà anche la direzione dei lavori nella fase esecutiva, garantendo in questo modo una continuità e una coerenza d’azione nel tempo.
Restauro consevativo
Guardiamo allora alle caratteristiche del complesso immaginato da Femia assieme ai suoi collaboratori, il quale andrà a riunire in un’unica sede gli uffici regionali oggi distribuiti in diverse zone della città. «È un restauro conservativo e non avevamo molto margine di intervento», spiega sempre Giovanni Damiani. Inoltre, «la Regione ha lavorato molto bene, presentando chiaramente le sue priorità e assicurando sinergia fra le parti». Il principio guida, in linea generale, è stato quello di non trasformare la sede in una «cattedrale nel deserto», ma di collegarla con il tessuto urbano circostante di Trieste.
I servizi
Lo aveva già detto lo stesso Femia: «Tutti i piani terra saranno spazi collettivi, di incontro e di relazione aperti verso l’esterno». Ma adesso si conoscono molti dettagli in più, che riguardano in particolare il tetto (come in parte si può notare dal modellino). Sulla superficie superiore sono stati ricavati infatti degli spazi per una serie di servizi, fra i quali risultano un asilo aziendale, una mensa e una palestra. Non è dato ancora sapere se saranno usufruibili da tutti i cittadino oppure riservati ai dipendenti regionali che lì avranno i loro uffici. In ogni caso, al principio che mira a scongiurare la deriva «cattedrale nel deserto» si terrà fede per un altro servizio, un ristorante che, a quanto trapela, la Regione vorrebbe aprire al pubblico. È chiaro, comunque, che allo stato attuale siano solo ipotesi, che andranno vagliate dopo l’inaugurazione.
Il compresso con la Soprintendenza
Dietro quanto illustrato finora si nasconde un lungo dialogo con la Soprintendenza. Il risultato è figlio di un compromesso, rispetto alla doppia necessità di non compromettere il valore storico dei quattro edifici e, contemporaneamente, di adeguarli alla loro nuova funzione. D’altronde, il cambiamento è radicale: gli immobili, fra Ottocento e Novecento, erano stati costruiti come depositi per accogliere all’interno le merci provenienti dal porto.
Riconvertirli a uffici e addirittura a «spazi collettivi», qui come per iniziative analoghe di restauro nell’ambito di Porto Vecchio, significa doversi destreggiare in un equilibrio molto delicato dal punto di vista architettonico. Un esempio? L’illuminazione naturale. In quanto ideati come depositi, gli spazi interni non sono esattamente baciati dal sole. Secondo Damiani, è questo «il vero problema di Porto Vecchio». La soluzione cui si è optato per la sede della Regione è stata creare dei cavedi di vetro, una parte del progetto – dice Damiani – «curata con grande attenzione».
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