Asif è diventato italiano dopo il giro del mondo: «Farra la mia identità con Daniela e Giorgio»
Dall’Afghanistan profugo in Iran, poi il viaggio in l’Europa fino a Gorizia dove finì in strada e l’incontro con la futura moglie al Cara di Gradisca
FARRA «Per la prima volta nella mia vita sento di avere un’identità. Il mio posto nel mondo. Si chiama Farra d’Isonzo, si chiama Italia». Muhammad Akhtari, per tutti semplicemente Asif, ha 34 anni. La quasi totalità dei quali vissuti da profugo: è stato straniero in casa propria (lui afghano, ma nato e cresciuto in Iran) e certamente lo è stato “in casa d’altri”, quando per trovare se stesso ha iniziato un lungo peregrinare attraverso l’Europa. Ma, ora, straniero non lo è più: Asif lunedi scorso ha giurato fedeltà alla Repubblica Italiana al cospetto del sindaco di Farra d’Isonzo, Stefano Turchetto. Il piccolo comune che è diventato il centro del suo mondo.
Chissà, forse non è un caso che questa bella storia si sia concretizzata proprio qui, in una comunità di 1.700 anime dove i partiti tradizionali sono stati banditi e centrosinistra e Lega ammnistrano assieme il paese. Di certo è un mondo che Asif ha sognato a lungo, soprattutto nelle interminabili notti trascorse all’addiaccio senza un riparo e senza un futuro; e di cui fanno parte anche la moglie Daniela Medvescig, mediatrice culturale 42enne, e un frugoletto di nome Giorgio, arrivato 9 mesi fa.
Sin qui il lieto fine: ma la vicenda di questo ragazzo dalla determinazione direttamente proporzionale al tono di voce flebile e pacato pare un film. E come tale merita un flashback. Dopo la guerra russo-afghana la famiglia di Akhtari trova riparo in Iran. E Asif apprende sin dalla tenera età cosa significhi essere minoranza: lui era l’altro, il diverso. «Ricordo che già in seconda elementare gli insegnanti mi dissero chiaramente che non ero uno di loro. Io non capivo: mi sentivo sia afghano sia iraniano, ma per uno Stato totalitario ero solo un caso difficile da incasellare». Le discriminazioni, tante. La più dolorosa il vedersi togliere il diritto allo studio dopo il liceo scientifico. L’Università è vietata per quelli come Asif. Che sente crescere dentro di sé un senso di dolore e prigionia. «Non ero felice. Non avevo un’identità, non potevo fare progetti. A 22 anni ho deciso che dovevo andarmene. Grazie al cielo la mia famiglia ha capito. Si vive una volta soltanto e io non stavo vivendo. Dove volevo andare? Non ne avevo idea».
Inizia un viaggio senza meta e senza fine. A piedi, nascosto nei camion o nei cargo, arriva in Turchia, poi in Grecia, in Francia. È un invisibile, non trova lavoro ma solo sistemazioni saltuarie. Asif non si ferma, sale nei Paesi scandinavi. Si ferma in Norvegia. «Un mondo completamente nuovo – dice –. Apparentemente pronto ad accogliermi». Già, perché i tempi biblici per l’esame della domanda di asilo non passano mai. Nell’attesa trova lavoro in un supermercato e in una serigrafia. «Ma tutto attorno sembrava scoraggiarmi. Tanta diffidenza, poco calore umano. Ero solo». La domanda di asilo viene respinta. «Il mondo si è fermato. Non ero nessuno e non avevo più un posto dove stare». Con coraggio investe i risparmi in un volo per l’talia, c’è un connazionale che vive a Roma. Da qui ne raggiunge un secondo a Gorizia. È il 2014, in piena emergenza-profughi. «Mi sono presentato spontaneamente in Questura – racconta – e nel frattempo ho preso pagando una stanza in hotel, per 2 notti, ma alla fine sono stato mandato via perché non avevo con me la documentazione sanitaria». Asif finisce in strada: due notti, prima di finire al Cara di Gradisca.
La disdetta si trasforma in una svolta. Lì infatti nota Daniela, mediatrice sia dell’odierno Cpr che della struttura per asilanti sino al 2017. «Ma ci siamo conosciuti e parlati per la prima volta fuori da lì» assicurano all’unisono. Dove? In una palestra di Villesse frequentata da entrambi. Trascorrono 8 mesi nei quali Asif frequenta Daniela, si stupisce («A differenza della Norvegia, qui mi chiamavano “ospite”»). Fa di tutto per integrarsi, nonostante abbia infine ottenuto l’asilo, non vedendosi riconosciuto il titolo di studio iraniano si mette di buzzo buono: ottiene la qualifica di saldatore, trova impiego all’azienda Caudek di Savogna, va a vivere a Farra con Daniela e infine la sposa. Finiti i turni in fabbrica, corre sui libri per ottenere la licenza media e la patente. In paese frequenta l’associazione donatori di sangue e la Protezione civile. «Mi sembra normale: voglio restituire qualcosa di ciò che ho ricevuto. L’Italia e Farra mi ha permesso di avere una famiglia, un lavoro, degli interessi. Non ringrazierò mai abbastanza. Non comprendo i migranti che si lasciano andare, si scoraggiano, prendono strade illecite». E infine arriva Giorgio, forse il vero protagonista di questa storia. Perché il piccolo avrà il doppio cognome: Akhtari-Medvescig. «Mi è sembrato un modo per sdebitarmi con la famiglia di Daniela, per come mi hanno accolto senza pregiudizi». Succede tutto nella piccola Farra. —
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