Arvedi lancia il suo ultimatum: «Clima ostile, pronto a chiudere la Ferriera»
TRIESTE Una nuova spada di Damocle pende sul futuro degli oltre 500 lavoratori della Ferriera e di diverse centinaia dell’indotto. Ma, più in generale, a risentire in maniera pesantissima dall’eventuale chiusura dell’attività produttiva sarebbe l’intera economia cittadina.
A mettere in evidenza i rischi che corre la continuazione della produzione nello stabilimento di Servola è stato lo stesso presidente del gruppo, il cavalier Giovanni Arvedi, in un incontro con i sindacati svoltosi, nel primo pomeriggio di ieri, nella sede di Siderurgica Triestina a Servola.
Una riunione convocata due o tre giorni fa, senza però che fosse specificato l’ordine del giorno, e alla quale solo all’ultimo si è appreso avrebbe partecipato anche Arvedi. Dall’altra parte del tavolo, le segreterie confederali di Cgil, Cisl e Uil, le segreterie dei metalmeccanici di Fim, Fiom, Uilm e Failms, assieme alle rispettive Rsu.
L’incontro è iniziato in maniera “soft”, con i rappresentanti dell’azienda che hanno illustrato i dati ambientali relativi al 2016. Cifre che, si legge in una nota sindacale delle segreterie provinciali, «evidenziano un netto miglioramento rispetto al 2015 in relazione a tutti i parametri previsti dall’Autorizzazione integrata ambientale».
Poco dopo c’è stato il colpo di scena con l’atmosfera che si è fatta subito pesante. Giovanni Arvedi ha preso la parola ed è andato dritto al cuore del problema, manifestando «estremo disappunto - spiega sempre il comunicato sindacale - rispetto al clima mediatico, politico e giudiziario che si sta determinando» con riguardo all’attività dello stabilimento servolano.
Arvedi non ha usato mezzi termini e nel prosieguo del suo intervento ha evidenziato come «l’attuale clima politico nei confronti dell’azienda - si legge sempre nella nota sindacale - rischi di compromettere la possibilità della continuazione del progetto industriale e del risanamento ambientale».
Il presidente del gruppo non si è fermato qui. Sempre secondo quanto riferisce il comunicato sindacale «ha dichiarato chiaramente che “se entro il 28 febbraio non saranno chiariti questi fatti” verrà meno l’approvvigionamento delle materie prime necessarie alla prosecuzione dell’attività produttiva dello stabilimento».
Arvedi ha dunque, secondo i sindacati, «lasciato intendere, di fatto, la possibilità reale della cessazione delle attività della fabbrica».
Le normali scorte di materie prime consentono di proseguire l’attività per due mesi. Ciò significa che la produzione si arresterebbe giocoforza entro la fine di aprile.
Dalle istituzioni coinvolte in prima linea nell’attività della Ferriera - Comune e Regione - non è giunta ieri alcuna reazione alle affermazioni di Arvedi. Più precisamente né il sindaco Roberto Dipiazza né la presidente della Regione Debora Serracchiani, pur interpellati attraverso i loro portavoce, hanno inteso rilasciare dichiarazioni. Sempre ieri (pare nel pomeriggio) Serracchiani ha incontrato Giovanni Arvedi, ma nulla è trapelato sui contenuti di tale riunione.
A fronte delle affermazioni del presidente del gruppo, i rappresentanti sindacali hanno respinto con decisione l’impostazione dell’azienda, sottolineando «il rischio reale di una grave crisi occupazionale». E hanno annunciato per oggi un’assemblea nello stabilimento, per spiegare ai lavoratori i punti dell’incontro di ieri.
Gli stessi sindacalisti si sono poi attivati immediatamente affinchè la discussione iniziata ieri si sposti nelle dovute sedi ministeriali, alla presenza del governo e con il supporto delle organizzazioni nazionali di categoria.
Al momento non è chiaramente ipotizzabile quando questo tavolo romano potrebbe essere riunito. Le segreterie provinciali di Fim, Fiom, Uilm e Failms lanciano comunque già ora un segnale di speranza, confidando che «in quella sede l’azienda e tutte le istituzioni locali, Comune compreso, confermino gli impegni assunti in sede di accordo di programma».
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