Arrestato per spaccio a Trieste, implora di restare in cella: «Non ho casa né cibo»
TRIESTE. «Non ho una casa, non ho da mangiare, non so dove andare... tenetemi in carcere per favore». Trentotto anni, originario di Capodistria. È al Coroneo per una storia di spaccio. E lì vorrebbe rimanere ancora, finché può, perché è troppo povero.
Lo straniero è finito in cella giovedì scorso, dopo che i Carabinieri avevano trovato in un appartamento di largo Barriera quasi un chilo di marijuana. Una quantità difficilmente giustificabile per l’uso “personale”.
Il trentottenne, momentaneamente ospite di quell’alloggio, ha ammesso tutto, togliendo dai guai altri due amici inizialmente implicati nella vicenda e già liberati.
Tutto succede a metà pomeriggio di giovedì: i militari notano due persone, un uomo e una donna, che si scambiano qualcosa. Sono 13,5 grammi di marijuana. L’uomo viene fermato e ammette: «Sì, li ho comprati da lei per 100 euro». Inizia la perquisizione nell’abitazione dell’acquirente, dove alloggiano temporaneamente sia la donna che il trentottenne di Capodistria, amico del padrone di casa.
I militari scoprono in soggiorno il resto della sostanza, di cui 480 grammi custoditi in un armadio, e alcune buste per il confezionamento. Nell’appartamento della donna, invece, i Carabinieri rintracciano cocaina ed eroina.
I due che si erano passati la marijuana, pizzicati in strada dai militari, sostengono di non sapere nulla del resto del quantitativo rinvenuto nella casa di Barriera. Lo sloveno, nel successivo interrogatorio, conferma, escludendo quindi che il padrone dell’appartamento e la coinquilina fossero a conoscenza di alcunché. E si prende tutta la responsabilità, scagionando di fatto i due amici.
Ma è nel successivo interrogatorio davanti al giudice, il gip Massimo Tomassini, che emerge il resto. Cioè le gravi condizioni economiche in cui si trova il trentottenne di Capodistria. La sua unica fonte di guadagno è fare il pusher.
«È chiaro, pertanto, che la detenzione ai fini di spaccio della sostanza stupefacente - annota il giudice nella sua ordinanza - fosse, e sia, una necessità, ancora prima che una scelta di natura criminosa. Egli, per forza di cose, utilizzava la droga come unico possibile mezzo di sostentamento». Che fare?
Il gip Tomassini ha subito valutato la possibilità di applicare la detenzione ai domiciliari, in sostituzione del carcere; misura evidentemente più adatta per un caso simile.
Ma il trentottenne non ha un posto dove stare. «Non ho nessuno nella vita - ha detto al giudice durante l’interrogatorio-, non ho una casa e non ho da mangiare. Sono povero. Mi tenga qui».
Tomassini, a malincuore, ha accettato la richiesta. E non è la prima volta che gli succede. Gli era già accaduto con uno slovacco che dormiva sui treni. «Non ho mai mangiato così bene in carcere...», aveva confessato al giudice.
Il gip, dinnanzi a casi del genere, non ha risposte. Ma ha interrogativi. «La giustizia è roba da ricchi?», osserva. «Il trentottenne sloveno - riflette - di fatto si troverebbe nelle condizioni di dover delinquere ancora o di fare l’elemosina per sopravvivere. La cosa incredibile è che questa cosa avviene a Trieste, tra noi, tra le persone che incontriamo, non in una periferia del mondo», incalza. «Aveva davvero torto Lenin - chiosa il giudice - quando diceva “libertà? Sì, ma per chi? E per fare cosa?».
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