Arrestato in piazza per estorsione e usura dopo la denuncia di un suo creditore

Gli stavano alle costole da otto mesi e, alla fine, l’hanno arrestato per usura ed estorsione. A lui, M.D.A., 43 anni, originario di Napoli e «con precedenti alle spalle», i carabinieri della Compagnia di Monfalcone sono arrivati perché un 46enne triestino, impiegato, per ripagare i debiti contratti con l’uomo era finito in una spirale di continue e pressanti richieste di denaro ai familiari, in particolare ai genitori settantenni. Il tasso applicato al prestito, ritenuto «esorbitante» dai militari, sarebbe stato tale da non rendere facilmente ripianabile il prestito. E i parenti, insospettiti dalle ripetute domande di contanti, si sono recati in caserma per segnalare ai militari l’imminente incontro del congiunto con il suo creditore a Monfalcone. Era febbraio.
Ma è otto mesi dopo, a seguito di protratte, articolate e capillari indagini, che si sono avvalse di pedinamenti, intercettazioni telefoniche e acquisizioni di testimoni, un mercoledì mattina – il 7 ottobre scorso, giorno di mercato –, che i militari coordinati dal nuovo comandante, capitano Davide Franco, procedono in piazza della Repubblica all’arresto in flagranza del campano per «usura ed estorsione». Addosso il napoletano, residente da una quindicina d’anni in città, ha le banconote fotocopiate in precedenza dai carabinieri e consegnate dalla persona con la quale il presunto usuraio – secondo l’accusa della Procura – ha quel giorno appuntamento in piazza per il ritiro del contante. Dall’arresto scaturiscono perquisizioni al domicilio di M.D.A. e in alcuni locali commerciali. E la denuncia di altri tre soggetti per spaccio di stupefacenti e favoreggiamento. Titolare del fascicolo aperto, il sostituto procuratore Ilaria Iozzi, che dirige le indagini.
Tutto è partito dunque dal pedinamento di febbraio, in borghese, dei carabinieri. Il servizio aveva consentito di identificare un primo uomo, il tramite per l’operazione di prestito che aveva portato l’impiegato triestino da M.D.A. Da successiva attività, diretta appunto dalla Procura di Gorizia, si è tuttavia «riusciti a identificare ulteriori vittime dell’usura riconducibili all’arrestato e a svelare un’attività di spaccio di stupefacenti», cocaina si presume. Otto le persone che hanno confermato e quindi denunciato i prestiti a tassi di interesse ritenuti illegali dagli inquirenti: commercianti e dipendenti dell’indotto del cantiere, alcuni corregionali dello stesso uomo ai cui polsi sono scattate tre settimane fa le manette. Il debito veniva contratto per la necessità di liquidità, dovuta a difficoltà economiche personali o di un esercizio; in un paio di casi per l’acquisto di stupefacente, stando alle ricostruzioni. Ma la Procura, nel corso dell’attività, è venuta a conoscenza di altre vittime, cui chiede ora di presentarsi in caserma a riferire. Durante le indagini, quindi prima dell’epilogo in piazza, i carabinieri hanno appurato che «l’indagato, dopo l’apertura di due negozi per lo smercio di prodotti tipici campani in città, si apprestava ad aprire un’ulteriore attività commerciale nel centro». Secondo l’accusa si tratterebbe di «denaro proveniente da attività illecite, le cui condotte si sarebbero protratte per alcuni anni». I negozi sarebbero gestiti da prestanome. Sul punto interviene però l’avvocato dell’indagato: «L’ultimo locale è condotto da familiari che nulla hanno a che vedere con tali vicende». E quindi smentisce la ricostruzione.
Ma veniamo ai fatti più recenti. Dopo l’«ennesima richiesta di interessi» da parte di M.D.A. e di «minaccia di ritorsioni fisiche» i carabinieri, che avevano fotocopiato il denaro consegnato dalla vittima, hanno proceduto all’arresto. Nella successiva perquisizione domiciliare, in un alloggio in affitto nel centro, i carabinieri hanno trovato e sequestrato orologi e gioielli di valore. L’uomo «conduceva un alto tenore di vita» e in città lo si notava girare su vettura di lusso, in leasing. Ma di fatto, secondo i militari, era «nullatenente» poiché ricorreva a prestanomi per le attività: si era contornato di alcuni corregionali che, pure loro debitori dell’arrestato, «prestavano la propria opera al fine di agevolare l’apertura e gestione dei negozi». Quanto ai solleciti di pagamento, le persone corrispondevano gli interessi (un tot al mese finché il debito non si sarebbe estinto) perché veniva detto loro che altrimenti avrebbero subito «ritorsioni fisiche».
L’indagato si trova ora ai domiciliari, dopo che all’udienza di convalida il giudice ha confermato il provvedimento su una sola delle tre accuse, l’estorsione, applicando la misura meno afflittiva della custodia cautelare, in considerazione del pericolo di reiterazione del reato. Il suo legale, avvocato Alessandro Barbariol, ha fatto quindi ricorso al Tribunale del Riesame, per chiedere la reimissione in libertà o in subordine l’ulteriore alleggerimento del provvedimento, come l’obbligo di firma. Il collegio, ieri, si è riservato la decisione. Intanto le indagini proseguono con le audizioni di ulteriori soggetti che intrattenevano rapporti con l’arrestato. E i carabinieri fanno appello ai cittadini affinché si rechino in caserma a rilasciare dichiarazioni su eventuali operazioni di prestito effettuate con l’indagato. –
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo