Armi e kamikaze lungo la rotta balcanica
TRIESTE. Fin dalle prime ore seguenti l’attacco islamista a Parigi è apparso un filo rosso che unisce i Balcani alla capitale francese nella sua notte dell’orrore. Le prime conferme sono giunte dalla Baviera dove un trafficante d’armi che viaggiava su una Golf con targa montenegrina e sul navigatore satellitare impostato un indirizzo di Parigi è stato fermato dalla polizia durante dei controlli. E nell’automobile sono stati trovati otto kalashnikov le armi usate dai miliziani dell’Is nella strage.
E quell’automobile poteva essere una sorta di “civetta” sacrificata per permettere un più sicuro transito di altre armi in direzione della capitale francese. Poi è spuntato un passaporto siriano accanto al cadavere di uno degli attentatori (per gli Usa è un falso). Il quotidiano belgradese Blic ha poi pubblicato ieri a tutta prima pagina, e in “esclusiva mondiale”, la foto di quel passaporto siriano trovato sul luogo dell'attentato allo Stade de France. Il giornale precisa che Ahmad Almohammad, questo il nome che figura sul passaporto, ha 25 anni, essendo nato il 10 settembre 1990. Il 7 ottobre scorso è entrato in Serbia dalla Macedonia al centro di accoglienza di Presevo, dove è stato regolarmente registrato.
Sempre secondo Blic, Almohammad ha superato tutti controlli e le verifiche antiterrorismo a cui vengono sottoposti tutti i migranti che entrano in territorio serbo, ed è stato assicurato che al momento di tali controlli l'uomo non era armato. A Presevo ha presentato domanda di asilo (forse per allontanare qualsiasi sospetto sulla sua persona), proseguendo poi il suo viaggio verso Croazia (8 ottobre a Opatovac) e Austria. I servizi francesi, scrive il giornale, dopo le stragi di Parigi, si sono rivolti ai colleghi serbi poiché sanno che i servizi di sicurezza della Serbia sono i più informati sui migranti in viaggio lungo la rotta balcanica. Proseguendo verso Nord è logico pensare che Almohammad sia transitato in Croazia e poi in Slovenia. Interpellata sul fatto la polizia di Lubiana, il suo portavoce per il reparto della criminalità, Drago Menegalija ha affermato che «in questi casi la cooperazione internazionali tra gli Stati è continuo», ma alla domanda se il siriano fosse stato identificato dalla polizia della Slovenia non ha voluto rispondere. Nonostante questo fatto il premier croato, Zoran Milanovi„ ha dichiarato che il suo Paese non bloccherà i confini ai migranti riservandosi però qualsiasi azione utile per garantire la sicurezza del Paese. Anche le autorità serbe hanno affermato che non ci sarà alcuno stop o rallentamento nel flusso dei rifugiati.
Un flusso, lungo la rotta balcanica, che resta comunque “pericoloso”. È facile, infatti, per i miliziani islamici camuffarsi tra le migliaia di disperati che viaggiano verso l’Europa centrale e poi trovare in loco la cellula pronta a fornire loro armi ed esplosivo necessari per portare a termine le loro azioni per le quali sono stati attentamente addestrati in Siria. Non dimentichiamo che a Sarajevo stanno giungendo oramai da mesi «quelli con le barbe e le preghiere strane», come li definiscono i musulmani bosniaci, e che hanno praticamente “occupato” il quartiere di Dobrinja. Mentre a Gornja Maoca, Dubnica, Osva, Orasec gli estremisti hanno praticamente insediato dei veri e propri “feudi” wahabbiti da dove partono i “volontari” per la guerra santa in Siria. Per non parlare delle armi che girano da quelle parti il cui traffico è gestito dalla mafia erzegovese e da quella montenegrina, sostenuta se non apparentata a quella russa, la quale un kalshnikov non lo nega proprio a nessuno.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo