«Area Science Park, serve una cura da cavallo»
Mentre l’economia declina e quella di Trieste va giù pericolosamente in fretta nei settori tradizionali si scopre che anche l’Area Science Park, incubatore di ricerca e impresa, tra i 12 enti di ricerca nazionale riconosciuti dal ministero, il classico “fiore all’occhiello” del sistema scientifico, va rivoltata come un guanto. Ha pochi cervelli in transito. Troppi in affitto permanente. Non ha un profilo riconoscibile. Non si sa esattamente quale sia la sua specializzazione. È fiacca nei rapporti con l’estero. Non da ultimo produce pochi utili.
Questa la diagnosi che in 8 mesi ha elaborato Adriano De Maio, presidente di Area dallo scorso febbraio. E che il giudizio non sia stato da 10 e lode lo si capisce attraverso il suo “documento strategico”, già approvato dal Cda e diffuso per conoscenza a tutti gli enti locali. Il progetto definisce la cura. Una cura da cavallo.
De Maio, ingegnere elettronico che ha iniziato come ricercatore al Cnr e poi è stato docente e rettore al Politecnico di Milano, rettore della Luiss a Roma e professore di Gestione aziendale e Gestione dell’innovazione, dice che l’Area deve aumentare competitività e soprattutto uscire da un lento e ristretto localismo. L’obiettivo deve essere “globale”.
Per cambiare l’altezza dell’asticella serve il supporto nazionale, ma soprattutto quello degli enti locali: «Essi devono vedere il Parco scientifico come il fattore principale di sviluppo del territorio». Seconda clausola: «Non si possono replicare parchi scientifici, perché ci si riduce al solito errore italiano, la dispersione di risorse». Dunque l’Area deve ottemperare al proprio ruolo di coordinamento degli enti di ricerca regionali, e vincere “localismo e campanilismo”. Il messaggio è per Udine e Pordenone, mentre accordi concreti sono stati già fatti sia con l’Università e sia con il Sincrotrone. Oltre che col ministero degli Esteri che diventa partner operativo per fare arrivare “cervelli” dai paesi dell’Est e del Mediterraneo, e far ripartire da Trieste innovazioni, progetti, aziende il cui “Pil” potrà ricadere sui paesi di origine degli ospiti di Area. Così da rendere il Parco vantaggioso in concreto per tutti.
Ma perché ciò avvenga c’è da rivoluzionare l’intero assetto. De Maio elenca: bisogna limitare i campi di interesse in senso scientifico, tecnologico e anche di mercato. Puntare su energia, ambiente, salute, agricoltura, telecomunicazioni e materiali (scegliendo anche qui un capitolo definito), e conservazione del patrimonio culturale. Finita l’epoca dell’affitto permanente alle aziende insediate (triennale, ma rinnovato). Se producono, vanno verificate per poter restare, «altrimenti l’attività del Parco scientifico si degraderebbe al ruolo di semplice offerta di spazi attrezzati». E poi ci vuole più promozione, nei ministeri e nelle Regioni, per offrire ricerche su prodotti e processi innovativi (non si esclude il turismo). E bisogna specializzarsi nella formazione e selezione del personale, e garantire non solo il “reclutamento di talenti”, ma la possibilità per loro di uscire da Area: «È impensabile per tutti sviluppare una carriera interna». Il luogo della ricerca legata all’impresa dev’essere improntato alla massima mobilità «con uno scambio di persone e competenze tale per cui il saldo tra chi entra e chi esce sarebbe anche nelle peggiori condizioni nullo per il nostro paese”. Ma il cerchio si chiude sempre lì: «Condizione essenziale è un elevato e attivo coinvolgimento dei tre attori principali: centri di ricerca e Università, sistema economico e industriale, enti locali. In assenza di tale sostegno - avverte De Maio - risulta inutile anche solo dare avvio al progetto in forma operativa».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo