Anziani e abbandono: "La visita mancata che non mi perdonerò"

Il tema di una studentessa che racconta il suo senso di colpa verso la nonna finisce in una lettera inviata al primo cittadino su “abbandono” e politiche sociali

Il professor Marco Coslovich insegna italiano e storia al corso serale dell’Istituto Carli. Ha inviato al giornale una lettera indirizzata al sindaco Roberto Cosolini in cui riporta uno scritto di una sua allieva. La pubblichiamo qui di seguito.

Caro Sindaco,

secondo il Censis in Italia almeno 700mila ragazzi, tra i 15 e i 24 anni, sono da considerare “ragazzi perduti”, con un futuro in ritirata. L’altro polo dolente di questa nostra società in decadenza sono gli anziani. La nostra città, in ambedue i casi, ne è una prova dolente. Le trascrivo un tema in classe di una mia giovane alunna, che io considero un’attenta e sensibile osservatrice sociale in grado di far pensare anche “il primo cittadino” sulle politiche sociali del nostro territorio.

Titolo del tema: “Sentirsi abbandonati e abbandonare…”

Svolgimento: “Non sapevo allora cosa significasse invecchiare: la pelle che assume un colore opaco, gli occhi che si spengono, i ricordi che svaniscono. Era successo tutto troppo velocemente. Andavo spesso a trovare mia nonna nel suo appartamento all’ultimo piano. Era solare con me. Ridevamo e scherzavamo assieme. I più forti ricordi di quei pochi anni trascorsi con lei nel suo appartamento, sono brevi attimi di esistenza: comprava sempre la bibita al pompelmo, anche se le ricordavo ogni volta che non mi piaceva. La osservavo tagliare i pomodori rossi e quando si preparava per la notte, mentre si toglieva il bustino e poi mi sistemava le coperte. Prima di dormire mi raccontava delle storie di quando era bambina. Non le ricordo, ma ricordo i gesti che faceva mentre me le raccontava e le carezze che mi dava per farmi sorridere.

Tutto cambiò. Mia mamma mi disse che era caduta dal letto e che era stata portata in una casa dove si trovavano persone come lei. Andavo ogni fine settimana a trovarla. Sembrava più vecchia. Non camminava più e aveva il viso sempre più segnato. Ogni volta che mi vedeva sorrideva, però quel sorriso un po’ alla volta scomparve. Mi parlava di tre cani che riposavano sotto il suo letto e non capiva perché io non riuscissi a vederli. Mi dispiaceva non poter stare sempre con lei. Mi aveva detto che sentiva le infermiere cospirare per farle del male, così le avevo regalato un mio peluche, una capra che - le spiegai - l’avrebbe protetta da chiunque avesse cercato di farle del male. Con il tempo le mie visite si fecero sempre più rare, non perché non mi piacesse andare a trovarla, ma perché aveva iniziato a non riconoscermi più. L’ultima volta che l’ho vista è stato per Natale. L’avevamo portata a mangiare fuori e poi l’abbiamo accompagnata in casa di riposo. Quel giorno le dissi che sarei tornata a trovarla presto. L’aprile di quest’anno è morta. Non mi perdonerò mai di averla abbandonata in quel letto, sola e con la speranza che un giorno sarei passata”.

Elena, III superiore

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