Anziane truffate a Trieste, “cricca” verso il processo

Chiesto il giudizio per cinque persone accusate di un raggiro da un milione a tre ospiti di due case di riposo. Oggi la decisione
Foto BRUNI 09.03.17 Casa di Riposo Ieralla
Foto BRUNI 09.03.17 Casa di Riposo Ieralla

TRIESTE Stese a letto o sedute nelle loro carrozzine, in casa di riposo, con lo sguardo di chi cerca compagnia e affetto. Ma con il sospetto, oggi, di essersi fidate di gente senza scrupoli interessata soltanto ai soldi. Tutto da dimostrare dal punto di vista processuale, ma documentato dagli inquirenti. Il secondo capitolo sulla presunta cricca accusata di aver imbrogliato tre vecchine ospiti dell’Itis e della Ieralla sarà scritto questa mattina in Tribunale. Cinque gli indagati per i quali il pm Antonio Miggiani chiederà al gup Luigi Dainotti il rinvio a giudizio. Sono Stefano Riva di 65 anni, la figlia Cristiana Riva (34), Rossana Dambrosi (62), Marco Modugno (43) ed Elisabetta Save (58). Il magistrato inquirente ritiene che il gruppetto abbia letteralmente spennato le tre anziane: la somma sottratta, attingendo dal conto corrente delle vittime, supera il milione di euro. In ballo pure una casa.

Stefano Riva e Rossana Dambrosi, che devono difendersi del reato di circonvenzione di incapaci, avrebbero abusato delle condizioni di malattia e infermità di una novantatreenne, di una novantaseienne e di una novantacinquenne. Con una di queste persone, che i due inquisiti andavano spesso a far visita in casa di riposo, la Ieralla, erano riusciti a farsi concedere in comodato gratuito a tempo indeterminato un alloggio in via Marconi. Il fatto risale al 2015. Non solo. In qualche modo, approfittando del rapporto di fiducia con l’anziana, avevano ottenuto anche la delega bancaria sul conto corrente Unicredit. Il conto era stato utilizzato ripetutamente a partire dal 2006 con prelievi allo sportello, bonifici e assegni a proprio favore o a beneficio di Marco Modugno. È l’altro indagato, peraltro figlio di Rossana Dambrosi. Circostanza, questa, che rivela un ulteriore dettaglio dell’intricata vicenda: i legami di parentela, oltre che di complicità, tra i personaggi coinvolti. Soldi di cui avrebbe fatto uso pure Elisabetta Save, compagna di Riva. Insieme avrebbero rubato ben 388mila euro. Centesimo più, centesimo meno. Il conto di un’altra vecchina veniva usato anche per foraggiare Cristiana Riva, figlia di Stefano. Qui si parla di 657mila euro. Una delle vittime, come accertato dagli investigatori, è la prozia di papà Riva: è una novantacinquenne ospite di una delle residenze protette dell’Itis, la “Bucaneve”.

La delega del conto in questo caso era stata intestata tanto a Riva quanto a sua madre, Renata Senin. Risultano spariti oltre 108mila euro. Tutti ciò è avvenuto tra il 2006 e il 2016. Dieci anni interi. Per Marco Modugno, Elisabetta Save e Cristiana Riva viene invece contestato il reato di ricettazione: avrebbero intascato buona parte dei soldi delle vittime, sottratti da Riva e Dambrosi. Si parla di 357mila euro per Modugno, di 90mila euro per Riva e 20mila da Save. Tutto ciò con assegni e bonifici. Dambrosi, Modugno e Cristiana Riva sono difesi dall’avvocato Paolo Codiglia, Stefano Riva è invece si è assistito all’avvocato Livia Rinaldi, mentre Elisabetta Save è tutelata dall’avvocato Tiziana Benussi.

Oggi, dunque, l’udienza preliminare. «Abbiamo posizioni completamente diverse - afferma il legale Codiglia - e sono convinto che i miei clienti siano persone oneste, completamente estranei ai fatti. Comunque l’intera vicenda deve essere interamente ricostruita».

Tirando le somme, l’inchiesta, se confermata in fase processuale, profila un maxiraggiro da oltre un milione di euro ai danni di tre vecchiette indifese e in casa di riposo. Persone malate, con difficoltà cognitive e che non possono praticamente muoversi dal letto. Un’inchiesta che a Trieste non avrebbe precedenti, vista la quantità di denaro in gioco e il periodo in cui si sarebbero protratti i reati (oltre dieci anni). L’intero caso era scoppiato qualche mese fa, a primavera. Se ne era occupata la polizia locale: non a caso, all’epoca, il Comune commentava l’operazione parlando di “sciaccallaggio”. Una mega truffa perpetrata da un’intera famiglia. Tutto ha inizio con un normale controllo edilizio da parte degli agenti. Nel luglio del 2015 l’amministratore di un condominio segnala «un'intensa» attività edilizia all'interno di un appartamento in cui la proprietaria però non vive più perché ospite di una casa di riposo. Ma il committente dei lavori non è la proprietaria dell’abitazione, bensì Stefano Riva, il quale dichiara di aver stipulato con l’anziana un contratto di comodato gratuito. Ma le condizioni della donna sono tali da non consentirle di sottoscrivere alcunché. E in banca, dove si trova il conto dell’ultranovantenne, le firme risultano palesemente difformi dalle originali. Ora si apre battaglia legale.

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