Antica Diga, il Tribunale civile taglia fuori l’ex gestore Brumat
Brumat, sei fuori. Il reality, ben poco show, sui destini di rinascita dell’Antica Diga a mare tra piazza Unità e Porto Vecchio - che tra annunci e retromarce, aperture e chiusure repentine ha marcato visita tutta la bella stagione 2014, e anche di più - è alla scena madre. E chissà che da questa (il chissà è d’obbligo considerato il mutismo che continua a dominare tra gli attori) non possa nascere qualcosa di buono, o quantomeno di vivo, in vista della prossima estate. È di questi giorni il deposito nella cancelleria di Foro Ulpiano di un’ordinanza con cui il collegio del Tribunale civile composto dai giudici Raffaele Morvay (presidente e relatore), Anna Lucia Fanelli e Roberta Bardelle (a latere) tira una riga sullo scontro tra i soci della concessionaria della Diga. Chiudendolo.
L’ordinanza accoglie in effetti il reclamo-bis presentato dall’avvocato Gianfranco Carbone per conto di Katiusa Stekar nella sua dichiarata veste di «presidente e legale rappresentante» dell’Associazione sportiva dilettantistica “La Diga - L’isola di Trieste” (alla testa del manipolo di affiliati formatosi nel 2014 con l’obiettivo di cambiare rotta e gestione) e «vieta» così a Flavia Blasizza e soprattutto a Franco Brumat «di qualificarsi rispettivamente presidente e vicepresidente dell’Associazione».
Si chiude a questo punto un braccio di ferro corresponsabile dell’impasse in cui è caduta da tempo una struttura che a suo modo pare “maledetta”, un braccio di ferro avviato nel corso dell’estate dell’altro anno, quando Stekar (che è cotitolare di un ristorante a Gorizia) era stata nominata presidente dell’Associazione da un gruppo di soci che si erano riuniti in assemblea senza convocare Brumat, scalzandolo per «decaduti requisiti morali». Un mese dopo Brumat aveva a sua volta convocato un’assemblea da cui erano usciti appunto Blasizza presidente e lui vice. E proprio quest’ultima assemblea era stata impugnata da Stekar e i suoi, sostenendone «l’illegittimità in quanto non erano stati convocati i soci effettivamente iscritti». Il giudice di prima istanza - si legge nell’ultima ordinanza - «rilevava la carenza di prova circa l’imminenza di un grave pericolo» ma in seguito al reclamo di Stekar il collegio di Morvay ha inteso approfondire il requisito del «periculum in mora». E «il pericolo - recita l’ordinanza firmata dallo stesso Morvay - è documentato» da una carta «del reclamante». È l’«atto con cui l’Autorità portuale», nel marzo 2014, «comunica all’Associazione l’inizio del procedimento volto a pronunciare la decadenza della concessione demaniale relativa alla Diga, fondata sia sulla grave morosità nel pagamento dei canoni, sia» sulla «condanna penale definitiva del Brumat per bancarotta fraudolenta e relative pene accessorie».
Da qui era stato organizzato il “colpo di mano” di Stekar e compagnia. «Il punto di partenza - scrive Morvay - non può che essere l’assemblea» in cui hanno iniziato a muoversi gli anti-Brumat e cui hanno fatto seguito altre: «Orbene, tale assemblea non è stata in alcun modo impugnata dalla parte avversa, che solo in memoria di costituzione prospetta motivi di illegittimità della stessa. In altre parole, la parte favorevole a Brumat, scalzata dalle delibere suddette, invece di impugnarle ha preferito convocare una diversa assemblea che nominava presidente la Blasizza e vicepresidente Brumat, carica quest’ultima dotata di amplissimi poteri ai sensi dello statuto. Tale modo di procedere - aggiunge il presidente del Tribunale civile - non può essere condiviso. Bene o male, un’assemblea formalmente regolare ha sostituito la precedente confusa e fallimentare gestione Brumat con altra dirigenza che, immediatamente, nel corso della stessa riunione, ha evidenziato i gravi inadempimenti statutari del Brumat e ne ha deliberato la revoca/destituzione. Pertanto l’assemblea successivamente convocata dal Brumat, con convocazione e partecipazione di soggeti della cui qualifica di soci è lecito dubitare, è invalida».
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