Andro Merkù: «Con i viz campo da una vita»

«A scuola mi mandavano fuori dall’aula. Ora vengo pagato per scrivere delle battute»

Sara Del Sal
PETRUSSI DIEGO
PETRUSSI DIEGO

TRIESTE «Il mio primo viz non saprei dire a quanti anni mi sia venuto in mente ma so per certo che quando andavo a scuola i miei viz non piacevano particolarmente ai professori che mi mandavano infallibilmente fuori dall’aula». Eppure, nonostante le ore passate in punizione, nei bagni del liceo, Andro Merkù è arrivato a laurearsi al Dams di Bologna e a diventare un imitatore e un autore di scherzi telefonici, attualmente in forza a Radio Montecarlo all’interno del programma del mattino “Bonjour Bonjour”. Lui, che con le sue imitazioni dell’ex premier si è conquistato l’affetto e il supporto del pubblico di Striscia la notizia che lo hanno preferito a Ballantini, Marcoré e Crozza. E sempre lui, che per anni ha fatto ridere l’Italia intera dalle frequenze di Radio24 con il programma La Zanzara.

Potrebbe spiegare a chi non è nato a Trieste il significato di viz?

«In triestino significa battuta. Che poi in triestino viz potrebbe voler dire anche barzelletta, scherzo, tutto dipende dal modo in cui viene usata. Se dici: ah disevo per viz… significa che dicevi così per scherzo, per fare una battuta. Ma quando ci si rivolge all’interlocutore chiedendo: te vol che te conto un viz? L’intento è quello di raccontargli una barzelletta, qualcosa di comico».

Si può fare un viz, quasi per caso, senza volerlo fare intenzionalmente?

«A me è capitato. Ero molto piccolo e non avevo nessuna intenzione di far ridere qualcuno. Ho sempre avuto una grande passione per gli animali e in versione “San Francesco”, portai un gatto che avevo appena trovato non ricordo dove, in chiesa, dal prete: “Padre, mi benedica il gatto”, chiesi, facendo scoppiare tutti a ridere. Tutto sommato portare un po’ di ilarità in chiesa non mi sembra un male».

Il gatto è stato benedetto alla fine?

«Non lo ricordo, ma i miei genitori questa storia la ripetevano spesso, sempre focalizzandosi sul gatto che avevo portato in chiesa. Non ricordo nemmeno il volto di questo prete, in compenso mi ricordo molto bene un altro prete, che è stato un mio insegnante anche lui. Come altri professori anche lui mi sbatteva sempre fuori dalla classe per i miei viz troppo audaci, evidentemente. Anche se ormai direi che più che viz erano degli scherzi».

Ci sono delle persone non triestine che sono particolarmente portate per i viz?

«Sicuramente i toscani e i napoletani. Hanno la battuta prontissima. Sono sempre sul pezzo. Io ho amici che provengono da entrambe le aree e sono dispensatori di battute incredibili, tant’è che mi è capitato di pensare: dovrei prenderli come autori dei miei testi perché loro le tirano fuori dal cilindro ogni qualvolta ci sia bisogno di una battuta. Hanno una grande facilità alla battuta, oserei dire addirittura superiore al comico triestino».

Nel suo lavoro quanto contano i viz?

«In questo momento, e già da moltissimi anni, vengo pagato per scrivere delle battute e interpretarle. Devo dire che mi ha aiutato tantissimo il fatto di saperlo fare. Le battute sono il mio pane quotidiano e anche se una giornata è uggiosa e se non sono in vena, devo necessariamente inventarmi qualcosa».

Ce lo regala un viz?

«Quanti rapporti ha la mia bici? Sicuramente più di me. (Credo nel sesso, ma non sono praticante)». —

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