Altro crollo dopo la pioggia: il degrado senza fine della Casa Dominicale
TRIESTE Della Casa Dominicale, l’ampio edificio sistemato sopra il roseto all’interno del Parco di San Giovanni, ormai restano solo i brandelli delle pareti esterne.
Le abbondanti piogge degli ultimi mesi ne hanno causato il crollo definitivo del tetto e di parte della facciata. I Vigili del fuoco, un paio di settimane fa, sono stati costretti ad intervenire e transennare l’area che circonda l’immobile per impedire anche che qualcuno, avvicinandosi, possa farsi male. Non sono esclusi, infatti, viste le condizioni della struttura, altri crolli.
L’immobile a tre piani, inaugurato nel 1908 assieme all’intero complesso dell’ex ospedale psichiatrico di San Giovanni, per decenni è stato destinato a ospitare il personale che operava all’interno del manicomio.
Di proprietà della Provincia di Trieste, l’edifico è stato ereditato dall’Uti Giuliana insieme all’intero pacchetto immobiliare che un tempo faceva riferimento a Palazzo Galatti.
Per il recupero dell’edificio non c’è da decenni alcun progetto. Probabilmente anno dopo anno lo vedremo piegarsi su se stesso. Ma la Regione ha stanziato 200 mila euro, inseriti nel piano triennale 2019-2021 dei lavori pubblici.
Accedendo al Parco di San Giovanni da via Valerio, la struttura si trova sulla destra, poco prima delle Officine Rosa.
All’interno dell’ex manicomio, la Casa Dominicale era inserita nella parte alta del parco, in quello che veniva considerato il “villaggio del lavoro”, costituito da edifici dallo stile più rustico rispetto al resto dell’intero complesso, e che si articolava intorno alla chiesa, comprendendo laboratori e, proprio accanto agli alloggi per il personale, vedeva anche la legnaia, il fienile, le stalle, il serbatoio dell'acqua e l'autorimessa.
«Quando arrivò Basaglia – ricorda Michele Zanetti, presiedete della Provincia dal ’70 al ’77 che affiancò e sostenne Basaglia nella chiusura del manicomio – quell’edifico era già vuoto dei dipendenti, e l’amministrazione provinciale si rendeva conto che degradava ma mancavano i soldi per riqualificarlo. Alcuni malati, poco a poco, si erano impadroniti di quegli spazi, personalizzandoli, creando piccoli appartamentini. Tra loro – ricorda Zanetti – anche il pittore Liubo, ritratto in molte fotografie di allora, che lì dentro creò il suo atelier».
Quelli sono stati gli ultimi momenti di colore all’interno della Casa Dominicale, ormai dimenticata, ridotta ad un cumulo di macerie e abbandonata a se stessa e alle intemperie. —
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