Altri 1.400 finiti in strada: senza fine la crisi di lavoro

Cgil: dal 2007 perdute 2.253 aziende, in un anno su del 74% i dipendenti in Cigs, raddoppiati quelli in mobilità. Disoccupati al 6,7%. Dilaga l’impiego a termine
Un corteo contro la disoccupazione
Un corteo contro la disoccupazione

Altri millequattrocento stanno per rimanere in strada: l’ennesimo duro scotto da pagare dopo che la crisi innescatasi nel 2008 ha già bruciato in provincia 8mila posti di lavoro. In cinque anni la disoccupazione è cresciuta del 50%, c’è un calo di 16mila 400 contratti rispetto a cinque anni fa e quelli a tempo indeterminato sono il 61% in meno. L’inizio del 2014 è stato tragico: -84% di avviamenti nel primo trimestre rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. «La crisi non solo non è finita, ma anzi perdura e si preannuncia un ulteriore peggioramento della situazione nel 2014»: questo il commento di Gianni Bertossi, coordinatore del Dipartimento politiche attive della Cgil che ha curato il report sul mercato del lavoro presentato alla recente “festa” del sindacato e che non solo conferma, ma ingigantisce i timori già alimentati dagli Osservatori della Provincia e della Regione. Centinaia di aziende chiuse hanno provocato un’esplosione della Cassa integrazione straordinaria, condizione in cui si trovano oggi 844 lavoratori (più 74%); e dell’istituto della mobilità che coinvolge 478 persone (più 106%). Sono coloro che stanno perdendo il posto, eppure le cifre sono ancora bugiarde poiché non comprendono tutti quelli che si trovano in mobilità, ma senza sussidio, in situazione dunque ancora peggiore. Non ci fosse stato quello che ormai sembra il più che probabile salvataggio della Ferriera (con quasi 700 posti di lavoro tra azienda e indotto) il quadro economico generale si sarebbe fatto esplosivo.

Il rapporto della Cgil è un bollettino di guerra. I disoccupati che nel 2008 erano 4mila 484 e nel 2012 5mila 862, a fine 2013 risultano essere 6mila 615 e il tasso di disoccupazione è cresciuto dal 4,5 al 6,7%. Gli occupati sono scesi in cinque anni da 95.782 a 90.971 dei quali 761 in agricoltura, 17.785 nell’industria e ben 72.426 nei servizi. Quelle che vengono definite dal sindacato “occasioni” di lavoro che sarebbero i contratti - che se a tempo determinato possono essere più di uno a testa per ogni singolo anno - sono stati 35.702 nel 2013 rispetto ai 40.107 del 2012 (erano stati 52.122 nel 2008).

Ma la china viene evidenziata nelle statistiche del sindacato fin quasi al momento attuale visto che gli avviamenti al lavoro nel primo trimestre del 2014 hanno registrato un meno 84% rispetto al primo trimestre dell’anno scorso allorché la crisi era già ben che matura. Gli avviamenti con contratti a tempo indeterminato sono stati il 9,3% del totale (12,3% nel 2012, 24,2% nel 2007), plateale indice di una precarizzazione generalizzata.

«Molto del lavoro svolto dalla Cgil, ad esempio con l’ottenimento dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali - fa rilevare Bertossi nel report - ha rappresentato un argine all’emorragia dei posti di lavoro». È logicamente decollato l’impiego della cassa integrazione (ordinaria, straordinaria e in deroga) con 2 milioni 263mila 446 ore (erano un milione 904mila 739 nel 2012 e un milione 77mila 869 nel 2009). Il dato drammatico sul lavoro si aggrava guardando al saldo tra aziende aperte e chiuse e all’andamento della produzione. Nel 2013 le aziende aperte sono stato 1.069, quelle chiuse 1.103, ma se si guarda al periodo complessivo tra il 2007 e oggi si sono perse complessivamente in provincia ben 2.253 aziende. Quelle attive in città sono 14.493, erano 14mila 498 nel 2012 e 15.229 nel 2007.

Per quanto riguarda l’interscambio commerciale le importazioni sono cresciute del 10,6% mentre sono calate del 12,4% le esportazioni con un saldo import-export del meno 63,4% tra il 2010 e il 2012 (ultimo dato a disposizione). La crisi di lavoro ha provocato una caduta del reddito e sofferenze finanziarie da parte dei triestini. A questo proposito l’indagine del sindacato riporta, riguardo alla situazione economica della popolazione, il dato sulle sofferenze economiche, ovvero i crediti che le banche hanno nei confronti della popolazione residente e che non mettono più a bilancio in quanto inesigibili. In questo senso i milioni di euro di “sofferenze” degli istituti bancari rispetto al totale dei clienti residenti sono passati dai 91 del 2009 ai 110 del 2010, ai 176 del 2011, ai 199 del 2012 con un aumento in quattro anni del 119%.

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