Alla sbarra il traffico d’organi in Kosovo

La task force dell’Ue, dopo la chiusura delle indagini sui desaparecidos del 1999, pronta a istituire un tribunale speciale
Di Stefano Giantin
Low angle view of four surgeons bending over the patient during operation
Low angle view of four surgeons bending over the patient during operation

BELGRADO. La «verità», verità «oltre ogni dubbio» per fare luce una volta e per sempre sulla delicata questione. Questione che, se comprovata, sarà ricordata come uno dei crimini più abietti delle guerre balcaniche, l’orribile caso del traffico d’organi di civili, fatti prigionieri dall’Uck in Kosovo tra il 1999 e il 2000, i loro organi utilizzati come costosi “pezzi di ricambio” da rivendere sul mercato nero.

La verità è quella che ha ufficialmente chiesto Samuel Zbogar, rappresentante dell’Ue in Kosovo, annunciando un progetto dalla portata storica. Progetto sostenuto da Bruxelles con l’ok di Washington per la creazione di un Tribunale speciale internazionale che dovrebbe in futuro processare le persone sospettate di essere coinvolte nell’orrendo crimine e in altri gravi atti inumani compiuti verso civili durante e dopo la guerra del ’99.

Un presunto crimine, i cui contorni furono per la prima volta delineati da Carla Del Ponte e poi suffragati, a fine 2010, da un’indagine del deputato svizzero Dick Marty. Il risultato di quest’ultima inchiesta, un rapporto presentato e fatto proprio dal Consiglio d’Europa che indicava in alti papaveri dell’ex Uck, l’Esercito di Liberazione del Kosovo, i mandanti. Le vittime, decine di civili, in gran parte serbi ma nella lista ci sono anche rom e albanesi “collaborazionisti”, che sarebbero stati rapiti e portati in luoghi sicuri in Albania. Lì, medici compiacenti li avrebbero sottoposti a operazioni chirurgiche per prelevarne gli organi.

Sul caso e sui desaparecidos post-1999 indaga da tre anni anche una task force speciale dell’Ue, guidata dal procuratore Clint Williamson che sembra essere vicino alla conclusione della sua inchiesta e all’incriminazione dei primi sospetti. Si sapeva che «questo giorno sarebbe arrivato», ha così scritto Zbogar in una sorta di lettera aperta al gotha politico kosovaro e all’opinione pubblica di Pristina. «Il Kosovo dice che non c’è niente di vero nelle accuse e potrebbe essere così, ma c’è bisogno di un meccanismo giudiziario appropriato per stabilirlo», ha specificato la feluca di Lubiana. Leggi, un tribunale speciale con «giudici e procuratori internazionali», innestato nel «sistema legale» kosovaro ma con la maggior parte delle sessioni da tenersi all’estero, per evitare gli endemici problemi sulla protezione dei testimoni.

Non si tratta di «mutare fatti storici» assodati, di «sminuire» le sofferenze delle vittime kosovare durante la guerra e prima ancora, sotto il regime di Milosevic, ha ribadito Zbogar, ma è questa l’unica via per fare luce su una questione che ancora oggi incombe come «una nuvola scura» sul Kosovo. E alla fine, la leadership kosovara la vede così, la Corte potrebbe «rimuovere» per sempre «un argomento che continua ad alimentare pregiudizi sul Kosovo», «processando» singoli «individui». Rimane da vedere come reagirà Pristina alla petizione di Bruxelles. Pristina che dovrà, attraverso la strada parlamentare, dare luce verde all’istituzione della Corte. Un “no” sarebbe letto come un’ostruzione alla giustizia, un respingere la verità.

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